Non c'è solo il "mental coach" dietro al leader della difesa, amato dagli juventini e odiato dagli avversari
Mai banale. Nei gesti tecnici, nelle esultanze, nelle parole. Leonardo Bonucci in cinque stagioni con la maglia della Juve è passato dalle "bonucciate", quegli svarioni clamorosi che ancora oggi ogni tanto commette, ad essere il leader della difesa nel pieno della maturità dei suoi 28 anni. "Il Pirlo" della diga davanti a Buffon, anche se qualcuno ha azzardato il paragone con tale Franz Beckenbauer per il suo modo di stare in campo, di muoversi con eleganza, di impostare il gioco da dietro. Capace di fermare l'attaccante avversario con un anticipo secco senza quasi scomporsi, ma anche di inventarsi un lancio millimetrico per il compagno smarcato o andare direttamente in gol. E che gol.
Magari nei momenti più delicati della stagione e al cospetto di avversari nobili. Come contro la Roma all'andata, quando ha risolto con un magnifico destro al volo una partita delicatissima, oppure al ritorno contro la Lazio, respingendo le illusorie speranze di rimonta con una cavalcata solitaria degna del miglior Messi. Nel mezzo, giusto per non farsi mancare niente, la rete al Milan e poi quella alla Fiorentina, che ha sancito la rimonta nella semifinale di Coppa Italia. Un difensore del calcio moderno con il vizietto della rete d'autore: 4 finora in stagione, 13 nelle 218 presenze con la maglia numero 19 della Juve, sulle 18 in carriera. Carriera iniziata da bambino nella sua Viterbese per poi approdare al settore giovanile dell'Inter, dove però non è sbocciato. Da qui è partito per Treviso, Pisa, Genova sponda rossoblù e Bari prima di trasferirsi a Torino e sposare la Vecchia Signora. Che gli ha anche regalato la Nazionale, dove è diventato uno degli "intoccabili". Al vizio del gol è legato anche un altro marchio di fabbrica di Bonucci: l'indice a roteare davanti alla bocca rigonfia prima di correre a festeggiare con i propri tifosi. Quello "sciacquatevi la bocca" non è rivolto a loro, ma a tutti coloro che hanno criticato lui o la sua Juve nei momenti più difficili. E adesso che le cose vanno alla grande è diventato un gesto simbolo dell'orgoglio bianconero. Ma dietro tutto questo, c'è un segreto, che ormai non lo è più. Non Antonio Conte, che pure è stato decisivo nella sua crescita di calciatore, ma Alberto Ferrarini, professione mental coach, motivatore per dirla all'italiana. E' stato lui a trasformare Bonny. Giorno per giorno, con il lavoro, il "capitano", come lo chiama lo stesso Leo, lo ha plasmato trasformandolo in un guerriero dei nostri giorni: sicuro di sé, sfrontato, mai domo, ma soprattutto odiato dagli avversari per quel suo modo di fare a parlare sempre chiaro e diretto, anche se mai irrispettoso. C'è chi lo adora e chi non lo sopporta. Di sicuro è impossibile non schierarsi. Con lui o contro di lui. Dopo essersi sciacquati la bocca, naturalmente.