Solo grazie al sacrificio del croato è nata la Juve del 4-2-3-1
Il claim che lo ha reso famoso dal suo arrivo a Torino è "no good". Ma quando si parla della stagione di Mario Mandzukic, la sua seconda alla Juve, non si può far altro che esclamare "very good!". Per certi versi è stato lui la chiave di volta del sesto scudetto bianconero, festeggiato tra l'altro con un gol nel giorno del suo 31° compleanno. Perché pur di non lasciarlo in panchina, Allegri si è dovuto "inventare" il 4-2-3-1 con il nazionale croato, Dybala e Cuadrado dietro a Higuain. Per riuscire a ottenere dei risultati, però, c'era bisogno che "SuperMario" si sacrificasse più degli altri tre. Addio ruolo di seconda punta. Servivano testa bassa e pedalate, nel senso che bisognava arare la fascia sinistra, tornare ad aiutare nella propria area, sgomitare, ma anche farsi trovare pronto quando c'era da dare una mano al Pipita e alla Joya. E Mandzukic non si è mai tirato indietro. Per questo è amatissimo dai tifosi, che riconoscono in Mario un guerriero alla Nedved. Per questo Allegri stravede per lui come forse nessun altro dei suoi giocatori. Un po' come aveva fatto Mourinho con Eto'o ai tempi dell'Inter del Triplete.
L'arrivo di Higuain ha rischiato di costargli il posto da titolare, lui che era abituato a fare da spalla, e che spalla, a Dybala. Lui che in bacheca ha una Champions League e un Mondiale per club con il Bayern Monaco. Ma ha saputo reinventarsi. Qualche gol in meno, più sostanza. Senza paura di nessuno. Nemmeno se quel "nessuno" si chiama Messi ed è considerato il più forte del mondo: ricordate l'abbraccio alla Pulce nei quarti di andata contro il Barcellona? Se c'è da fare a braccio di ferro, Marione non si tira mai indietro.
Ma non inganni la sua faccia truce e il carattere schivo. Nello spogliatoio, a modo suo, Mandzukic è uno dei leader. Magari non a parole, ma con i fatti. Che sono ciò che conta.