Logo SportMediaset
In evidenza

Seguici anche su

ALPINISMO

Cosas patagonicas, Della Bordella: "Partiti come squadra, tornati come famiglia"

L'alpinista varesino tira le somme della spedizione in Sud America finanziata dal Club Alpino Italiano

di Stefano Gatti
15 Apr 2025 - 12:16
 © CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

Sono già aperte le candidature per la seconda edizione del progetto didattico CAI Eagle Team (2026-2027) ma prima di dedicarvisi, Matteo Della Bordella ha riassunto in una lunga conversazione con Sportmediaset sostanza e soprattutto senso della prima, quella che ha visto l'ex presidente dei Ragni di Lecco (con il fondamentale aiuto dei tutor Silvia Loreggian, Massimo Faletti e Luca Schiera) guidare sei giovani promesse dell'alpinismo italiano alla scoperta della Patagonia, sbocco finale di un progetto lungo due anni.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: La Patagonia è stata un premio per i ragazzi, ci spieghi come ci si è arrivati?

MDB: È stata la fine di un bellissimo percorso, nel quale ho visto i ragazzi crescere. In realtà, più che un premio è stato un momento in cui abbiamo fatto un salto di qualità. Sulle Alpi è come se avessimo fatto non dico un allenamento, ma abbiamo messo in pratica certe tecniche, certi concetti e poi siamo andati sulle montagne più belle del mondo, in Sud America, quelle che a me hanno dato tantissimo. Lì è stato un po’ come quando di inizia a fare sul serio, come quando fai il salto dalle leghe giovanili alla Serie A. Il vero premio è stata la possibilità di muoversi in un ambiente molto più difficile, mettere in pratica quello che avevamo imparato insieme sulle montagne di casa.

SPORTMEDIASET: Come hai trovato i ragazzi, che emozioni ti hanno trasmesso?

MDB: Quando siamo arrivati in Patagonia mi sono immedesimato in questi ragazzi, perché anch’io a venticinque anni ho fatto la mia prima esperienza in Patagonia e non conoscevo nulla, era un mondo totalmente nuovo. Ho pensato a cosa avrebbero potuto provare loro in quel momento e sapevo che sarebbe stato un impatto molto forte, perché è tutto nuovo, tutto più grande, senti la forza e gli elementi della natura su di te in maniera molto potente. I ragazzi si sono dovuti adattare a questo terreno, all’inizio hanno avuto anche delle difficoltà. Non è che si sono trovati subito a loro agio in un ambiente così diverso dalle Alpi. Ma penso sia proprio questo che li ha fatti crescere e ha fatto loro provare qualcosa di nuovo: il mettersi alla prova su un terreno totalmente nuovo.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Le condizioni meteo hanno rappresentato un problema…

MDB: Il meteo è la più grande incognita di ogni spedizione patagonica, perché quella terra è famosa per le tempeste, i venti fortissimi, il maltempo. Ci ha remato contro, ma non troppo: il mio timore era che non riuscissimo a fare proprio nulla, ma così non è stato. Abbiamo avuto un meteo patagonico, dove il brutto tempo l’ha fatta da padrone ma ci sono state delle finestre di bel tempo che ci hanno permesso di andare in montagna, spiragli che in Patagonia devi riuscire a sfruttare al meglio. Tutto questo fa parte del bagaglio di esperienze che io mi sono fatto in quattordici anni di Patagonia e che ti fa scegliere meglio gli obiettivi, la tattica da mettere in atto quando poi vai a scalare”.

SPORTMEDIASET: Ci sono stati anche altri imprevisti, ad esempio l’infortunio di Alessandra. Che tipo di sostegno avete potuto darle? 

MDB: Gli imprevisti sono all’ordine del giorno in queste spedizioni, d’altra parte l’avventura inizia quando ci sono gli imprevisti. Purtroppo per Alessandra è stato di carattere sanitario: si è infortunata al secondo giorno, è stata una sfiga pazzesca. Il supporto che ho potuto darle è stato quello di esortarla a ricondurre questa esperienza a un quadro più ampio. Purtroppo ci può stare: è capitato anche a me di giocarmi delle spedizioni, delle finestre di bel tempo per qualcosa che non dipendeva da me. Quello che ho potuto dare è la mia esperienza, perché pur non avendo mai avuto infortuni così, mi è già capitato di vivere situazioni simili in passato. La cosa più bella per lei è stato il supporto ricevuto dagli altri ragazzi di CAI Eagle Team. Si è creato uno spirito gruppo che le ha permesso di ricevere il sostegno dei suoi colleghi: è stato molto bello.

SPORTMEDIASET: Marco Cordin e Giacomo Meliffi. Li abbiamo trovati un po’ più ombrosi rispetto alla vigilia della partenza…

MDB: I ragazzi sono partiti con entusiasmo e voglia alle stelle. Il problema è che queste montagne, come tutte le montagne ma ancor di più quelle della Patagonia, ti mettono davanti delle cose che non ti aspetti. Sono montagne grandi, imponenti, le distanze sono lunghe, fai più fatica di quello che pensi. Ti rendi conto di non essere tu a fare quello che vuoi, ma è la montagna a decidere e tu ti devi solo adattare. Questo può comportare un ridimensionamento delle proprie aspettative, non è sempre facile da accettare. Perché uno è giovane, ambizioso: è capitato anche a me di pensare di andare lì e spaccare il mondo, e invece poi quello ad essere spaccato sei tu, non il mondo! Ci sono modi diversi di reagire. Quello che a me è piaciuto dei ragazzi è che - nonostante alcuni di loro non abbiano raggiunto gli obiettivi che si erano prefissati - hanno portato a casa tanto e si sono focalizzati sull’esperienza in sé. Che è poi ciò che, a distanza di dieci anni, ha il maggior valore. Perché va bene di tutto questo la cima, la scalata, ma l’esperienza che ho vissuto, il legame, quello che mi ha dato è la cosa che ha maggior valore nel tempo”.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Come avete deciso la composizione delle cordate e quali obiettivi vi eravate prefissati?

MDB: Le cordate le avevamo già decise mesi e mesi fa in Italia, a tavolino. Io ci tenevo a una preparazione che fosse il più dettagliata possibile e quindi a limitare al massimo l’improvvisazione. Noi siamo arrivati là e ognuno di noi sapeva già con chi avrebbe scalato, aveva già preparato il materiale e aveva un piano A, un piano B, un piano C, un piano D e così via. Questo fa parte della preparazione ed è una cosa alla quale tengo moltissimo: per me la preparazione dev’essere puntuale e il più dettagliata possibile. Gli obiettivi poi sono stati decisi dalle singole persone, dalla cordata stessa: nel senso che io ho proposto un obiettivo - che era quello del Cerro Piergiorgio (metri 2719 ndr) - senza forzare e obbligare nessuno. I ragazzi si sono formati tra di loro e così si è formata la cordata del Cerro Piergiorgio. Analogamente, altri hanno deciso di formare una cordata composta da loro e da un tutor. Ad esempio: una cordata originariamente avrebbe dovuto essere composta da Luca Ducoli, Silvia Loreggian e Alessandra Prato. Loro avevano diversi obiettivi: il Cerro Torre, il Cerro Fitz Roy, che poi avrebbero deciso in seguito, a seconda delle condizioni della montagna”.

SPORTMEDIASET: Nella tua cordata avrebbe dovuto esserci anche Camilla Reggio, che poi però si è letteralmente persa…

MDB: Uno dei tanti intoppi della spedizione è stato quello che quando siamo andati al Piergiorgio eravamo in tanti, perché eravamo un gruppo molto nutrito, composto oltre che dagli alpinisti anche dai filmaker e da altre persone che sono venute con noi. A un certo punto abbiamo diviso il gruppo in due per esigenze tecniche, separando chi andava più veloce e chi andava più lento, e Camilla è rimasta a metà tra i due gruppi e non sapendo dove andare si è persa. C’è stato questo imprevisto, che in montagna non è sempre facile gestire, perché i cellulari non prendono e la comunicazione è sempre un po’ complicata. Ci siamo un po’ preoccupati, poi però l’abbiamo ritrovata e quindi tutto si è risolto per il meglio. Però è stato un momento senza dubbio di tensione. La cosa che ha un po’ fermato la cordata originariamente è stato l’infortunio di Camilla, che aveva un problema ai piedi che l’ha rallentata. Senza questo inconveniente fisico, non ci sarebbero stati problemi, però a volte è frustrante sentire la testa che vuole arrivare a un certo obiettivo e il fisico che non la segue. Però anche lì: mi sono messo nella sua testa, nei suoi panni e - nonostante le emozioni iniziali - quel misto tra preoccupazione, arrabbiatura e così via, cavoli però questa ragazza vorrebbe fare questa scalata, ma per via del piede effettivamente non la può fare. Ne abbiamo un po’ parlato e abbiamo mischiato le cordate in funzione del suo stato d’animo e del suo stato fisico.

SPORTMEDIASET: Cosa puoi dirci dell’operazione di soccorso al quale hanno preso parte Marco e Giacomo?

MDB: In quel caso è successa una delle classiche “cosas patagonicas”, che succedono solo in Sud America, quelle situazioni in cui ci sono degli alpinisti in difficoltà, ma lì non c’è un elicottero che li viene a prendere: è tutto molto più complicato. Gli alpinisti devono aiutarsi l’un l’altro. Quando è scattato l’allarme di questi cileni bloccati sul Fitz Roy ci siamo riuniti in paese, ci siamo guardati in faccia e chi era pronto a dare una mano ha formato una squadra di soccorso, a supporto di quella dei soccorritori locali, ed è partito per la montagna. È stato un momento molto importante, anche di forte responsabilità per i ragazzi. Perché eravamo tutti lì e allora ho chiesto: C’è qualcuno che se la sente di andare ad aiutare questi alpinisti? Marco e Jack hanno fatto un passo avanti, dicendo che loro se la sentivano: è stata una cosa molto forte. Per fortuna l’episodio ha avuto un epilogo felice, perché è stato possibile portare in salvo alpinisti in difficoltà, non era per nulla scontato. Per Marco e Jack un bel bagaglio di emozioni, perché non scali più per raggiungere la tua cima, il tuo obiettivo, ma scali per dare una mano agli altri. Si crea questa unione di intenti, nella quale metti da parte te stesso e ti unisci alla comunità locale per salvare delle altre persone: hai motivazioni dietro totalmente diverse. Per esperienza personale, so che è una cosa molto intensa, che ti lascia dentro ricordi ed emozioni profonde”.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Parlaci del suo sogno di aprire una nuova via sul Cerro Piergiorgio.

MDB: Io ero in Patagonia con un ruolo diciamo duplice: di capospedizione e di referente del gruppo, ma anche di alpinista con un obiettivo importante. Perché la grande scommessa del progetto CAI Eagle Team è stata quella di unire l’alpinismo di alto livello con un programma di formazione per i giovani: finché tieni le due componenti separate, tutto ok tu. Metterle insieme non era facile. L’obiettivo per me aveva il nome di Cerro Piergiorgio, parete nord-ovest: una lavagna, uno specchio, una delle pareti più belle della Patagonia che ancora non avevo scalato. Pur non avendola scalata, ne conoscevo però la storia, ero a conoscenza del tentativo di due alpinisti, anche amici - Maurizio Giordani e Luca Maspes - che nel 1995 avevano aperto per più di tre quarti una linea incredibile, che avevano chiamato Gringos Locos. La linea era ancora lì da completare, e allora la mia cordata ha scelto di puntare a questo obiettivo”.

SPORTMEDIASET: C'erano stati altri tentativi precedenti, oltre a quello di Giordani e Maspes? 

MDB: Di Gringos Locos sapevo tanto… ma anche poco. Sapevo che Luca e Maurizio nel 1995 si erano superati, perché dalle loro parole si capiva che avevano dato il meglio di loro stessi in quelle giornate di apertura: erano al massimo della loro forma fisica e mentale. Avevano aperto la via cercando di usare pochissimo materiale. Sapevo anche quanto ci tenevano che qualcuno andasse a completare la loro via ma seguendo il loro stesso stile. Si trattava insomma di ripetere i tiri secondo il loro stile, con pochissimo materiale: era il presupposto del progetto. Sapevo che erano stati fatti altri tentativi dopo il loro. Nessuno però era mai arrivato al punto massimo che era stato raggiunto trent’anni fa. Eravamo consapevoli delle difficoltà, ma a cosa saremmo andati incontro era sempre un’incognita”.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Quando si è aperta la finestra di bel tempo eri sicura di potercela fare? 

MDB: No! Abbiamo avuto un sacco di dubbi fino all’ultimo, anzi all’ultimissimo. Siamo partiti un pezzettino alla volta: il primo giorno abbiamo salito due tiri, che è pochissimo: non è neanche un decimo della parete. Il giorno successivo sei tiri, un po’ di più. Il giorno dopo ancora sei tiri. Pian piano il progetto ha iniziato a prendere forma. All’inizio mi sembrava utopia, perché tutto sembrava remare contro: gli infortuni, un team… azzoppato da problemi fisici. Poi c’è stata l’inversione di rotta. Mirco Grasso si è unito al gruppo. Ecco, ancora una volta: il gruppo è stata la chiave di volta della salita. Avere dei compagni come Mirco e Dario Eynard ha permesso di realizzare questa salita. Quando ho avuto i compagni giusti (te ne accorgi quando hai i compagni giusti, perché il sogno è condiviso), allora ho capito che - nonostante le difficoltà - ce la potevamo fare a portare a casa questa via.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Ad un certo punto al vostro gruppo si è unito anche Maurizio Giordani…

MDB: È stato fighissimo, perché a un certo punto mi è arrivato un messaggio di Maurizio: Ho visto che viene una finestra di bel tempo, vi raggiungo in Patagonia. Sapevo quanto Maurizio teneva a questa via. Devo essere onesto: se non fossimo stati divisi da venticinque anni, due generazioni, completare questa via con lui sarebbe stato un sogno ancora più grande. Perché Maurizio per me è un mito, un alpinista che mi ha sempre ispirato. Il fatto di vederlo lì, ancora partecipe di questo sogno che non era suo come nostro, ci ha dato una marcia in più, una carica aggiuntiva. Condividere con lui questo progetto è stato ancora più bello”.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato?

MDB: Quella principale è stata che, in occasione del nostro tentativo di vetta, le condizioni e il tempo ci hanno remato abbastanza contro. Infatti il primo giorno di scalata siamo rimasti abbastanza demoralizzati dal fatto che siamo saliti pochissimo: il primo giorno di salita quando puntavamo alla vetta intendo, quando siamo tornati in parete la seconda volta. Siamo riusciti a fare una lunghezza di corda, trenta metri, poi il vento, il freddo, la roccia bagnata…  Ci siamo dovuti rinchiudere nella portaledge e aspettare lì. Il morale era basso, pensavamo che non avremmo avuto abbastanza tempo e non ce l’avremmo fatta. Poi il giorno dopo è successa una specie di miracolo, come quando tutte le tessere del puzzle si incastrano alla perfezione: Dario parte con il freddo di primo mattino, sale questo tiro impressionante, tutto su gancetti, su cliff, dando il massimo. Io l’ho visto impegnarsi a l massimo, così quando è toccato a me mi sono detto: ok, adesso anch’io devo dare il meglio di me stesso. Ho salito più velocemente che potevo i tiri seguenti, poi quando ero stanco è stato il turno di Mirco. Anche lui ha fatto un lavoro eccezionale. Poi alla fine è toccato di nuovo al più giovane di noi tre, sennò a cosa servono i giovani se non per andare davanti quando nessuno vuole andare! Dario pian piano, nel buio della notte, metro dopo metro, pulendo il ghiaccio dalle fessure, ci ha condotto fino alla cresta finale del Piergiorgio. Di notte, nella bufera, io lì per lì ero ghiacciato: non avevo neanche realizzato quello che avevamo fatto e tutto quello che c’era dietro, perché poi pensavo alla discesa ed ero ancora nel mezzo dell’azione. Però a pensarci adesso è stato davvero un momento incredibile: noi tre al buio, nel mezzo del nulla, che riusciamo a completare questa via che attendeva la parola fine da trent’anni.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Per te, da alpinista, che gioia ha rappresentato portare a casa questo risultato? 

MDB: Per me è questo risultato vale tantissimo, anzi vale doppio perché c’è il risultato, eeva bene, ma la cosa di maggior valore è quello che c’è dietro. Arrivare ad un risultato come sbocco di un percorso come quello che abbiamo fatto, con un gruppo di ragazzi con cui ci siamo conosciuti, abbiamo scalato tanto, abbiamo passato tanti momenti insieme… beh tutto questo dà un valore ancora più grande all’esperienza. Perché poi alla fine noi quel momento, alle tre di notte mentre eravamo in cima, ce lo ricordiamo a malapena. Tutta l’esperienza che abbiamo vissuto però, tutto il cammino che ci ha portato fino a lì ha un valore ancora più grande. Voglio dire che se avessi raggiunto questa cima con un mio compagno che già conosco, super affidabile, esperto, sarei stato felice lo stesso, ma raggiungerlo all’interno di un percorso come quello di CAI Eagle Team è stato senza dubbio unico, speciale, ancora più bello e di maggior soddisfazione”.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Quali altri risultati alpinistici sono stati raggiunti dalle altre cordate del CAI Eagle Team?

MDB: Se parliamo dal punto di vista alpinistico, i risultati delle altre cordate non sono stati eclatanti, anche qualche risultato è stato raggiunto. Luca Ducoli e Silvia Loreggian hanno fatto la Aguja Poincenot, Camilla con Dario all’inizio erano arrivati quasi alla vetta della Aguja Guillaumet, quindi qualcosa è stato fatto. È stata aperta una nuova variante su El Mocho. Certo, è inutile nasconderlo, non sono state le grandi montagne che loro si aspettavano. Io però mi metto nei loro panni: la prima volta che sono andato in Patagonia, anzi le prime due volte, sono tornato a casa con le orecchie basse, bastonato. Quindi mi auguro che queste se vogliamo chiamarle sconfitte siano solo la base di una nuova avventura che per loro deve ancora partire, in cui andranno loro da soli, cercheranno il loro stile, il loro modo di fare alpinismo e faranno esperienza per tutto quello che verrà dopo e per le esperienze future”.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

SPORTMEDIASET: Qual è il bilancio finale della spedizione?

MDB: Lo faccio con la frase più bella che mi hanno detto i ragazzi: siamo partiti come compagni di cordata, torniamo come fratelli.

SPORTMEDIASET: Che consiglio ti senti di dare ai ragazzi per il loro futuro?

MDB: Wow! È difficile... Quello che posso dire è che sono tutti - e ognuno di loro è - persone uniche e speciali. E mi piacerebbe che ognuno di loro inseguisse con passione, con determinazione e con tutto il cuore i propri sogni e la propria strada.

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

© CAI Eagle Team Ufficio Stampa

  

Commenti (0)

Disclaimer
Inizia la discussione
0/300 caratteri