Il 22enne Andrea Parlangeli ha vinto a Roma il qualifier tricolore del torneo riservato a Street Fighter 6 e lancia il suo messaggio: "I videogiocatori sono atleti"
di Alberto Gasparri© Mauro Puccini - Red Bull Content Pool
Tifo da stadio, una location prestigiosa come Palazzo Brancaccio a Roma e il meglio che il panorama italiano dei videogiochi del genere "picchiaduro" possa vantare oggi. L'edizione 2024 di Red Bull Kumite, la nona complessiva, è stara un grande successo di partecipazione (un centinaio gli iscriti) e divertimento, non solo per Andrea "Garnet" Parlangeli che alla fine si è aggiudicato il titolo e soprattutto il viaggio a New York per partecipare all’atto mondiale del torneo. Al termine di una finale combattutissima, emozionante e ricca di colpi di scena, il 22enne giocatore del team SaveYourGames e Asd Milano ha battuto l'amico e rivale di sempre Leandro "Geeck-o" Vilardo. La sfida ha avuto luogo utilizzando il nuovo Street Fighter 6 di Capcom, su piattaforme PlayStation 5: “Garnet” ha impersonificato Dhalsim, mentre “Geeck-o” è sceso nell'arena, non solo virtuale, con Cammy. Quest'ultimo ha accarezzato la vittoria assoluta, ma alla fine ha dovuto cedere sotto i colpi di colui che era arrivato nella Capitale per il qualifier italiano con i galloni del primo favorito, dopo un sensazionale Reset sul 3-0. Il torneo tricolore, seguito dal commento tecnico di Maurizio Merluzzo, Giananyeah e Cydonia e trasmesso da RoundTwo, ha visto sfidarsi nella fase finale i migliori 8 player presenti in una serie avvincente di 1 vs 1 all’ultimo ko, che ha anche regalato il terzo posto all'esperto Fabio “Mr. Wolf” Zaniol con il personaggio di Jamie.
Abbiamo approfittato dell'evento organizzato da Ouroboros Society A.S.D. & A.P.S. con il supporto di Red Bull Italia per fare due chiacchiere post vittoria proprio con Andrea Parlangeli e fare il punto sul movimento eSport in Italia. "Da noi è ancora in stato embrionale, è un genere in cui purtroppo siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi, come Giappone e Usa. Recentemente sono stato alla Capcom Cup di Hollywood e mi sono reso conto di come il nostro livello, dal punto di vista dei giocatori, sia ancora molto basso. Dobbiamo crescere, dobbiamo fare tanta esperienza e spero che con il tempo si possa evolvere anche negli eSport. Però il "picchiaduro" è un genere di nicchia perché è difficile da approcciare, per divertirsi e diventare bravi bisogna faticare tanto e spesso non sono in tanti a volersi impegnare, a stare ore sul gioco, comprendere le varie situazioni", ci ha detto "Garnet".
© Mauro Puccini - Red Bull Content Pool
In tanti ne rimarranno sorpresi, ma per arrivare a questi livelli c'è tantissimo lavoro dietro: "Io gioco otto ore al giorno, ma non solo in incontri classificati. Analizzo molto i replay e gli altri giocatori che usano il mio personaggio. Oppure guardo match di altri giocatori per avere un diverso punto di vista di determinate situazioni, a cui magari non do peso. Sono importanti anche le sconfitte per capire dove si ha sbagliato, se c'è qualcosa che non si sapeva. E’ lì che si migliora. Bisogna replicare una determinata situazione, provarla continuamente, simularla in allenamento finché non si trova la soluzione più efficace".
© Mauro Puccini - Red Bull Content Pool
A vent'anni, il futuro è adesso, però è proprio in questo momento che i videogiochi per “Garnet” e non solo potrebbero trasformarsi in un lavoro anche a lungo termine. "Mi sono fatto la promessa che a 100 anni sarò ancora seduto a giocare... In realtà, quando si va avanti con l'età i riflessi cominciano a calare, non si è più performanti come quando si è più giovani. Quindi magari inizierò a fare coaching se ne varrà la pena, oppure a raccontare gli eSport, l'aspetto competitivo dei videogiochi".
© Mauro Puccini - Red Bull Content Pool
Il sogno, però, è un altro. "Per me gli eSport dovrebbero andare alle Olimpiadi. Si sottovaluta molto la preparazione che c'è dietro, non solo al gioco. Molti da fuori vedono solamente due persone che schiacciano dei tasti, ma non capiscono il lavoro mentale, lo sforzo mentale che si fa. Questo è uno sport mentale, come gli scacchi, c'è molto lavoro di resta. Io ad esempio ho un mental coach che mi aiuta a gestire la pressione, perché non saperla gestire significa sbagliare le esecuzioni. Quindi, se gli eSport andassero alle Olimpiadi, per me sarebbe la cosa più bella, sarebbe un grande merito di noi giocatori perché noi siamo atleti. Significherebbe dare una svolta". Il Cio, il Comitato olimpico internazionale, ci ha pensato più di una volta e chissà che quel giorno non arrivi presto.