Il velocista statunitense, vincitore di quattro medaglie d’oro a Berlino nel 1936, scomparve 40 anni fa
Il 31 marzo 1980 morì James Cleveland Owens, detto Jesse. Originario dell’Alabama, il grande velocista statunitense diventò un vero e proprio mito dell’atletica leggera, assurgendo a icona dei Giochi Olimpici e legando il proprio nome a doppio filo con la storia, grazie alle quattro medaglie d’oro conquistate a Berlino nel 1936 sotto gli occhi di Adolf Hitler. Nel 1984 è stata dedicata alla sua memoria una strada della capitale tedesca.
Nella settimana in cui vengono ufficialmente stabilite le nuove date delle Olimpiadi di Tokyo, rinviate al 2021, si celebrano i 40 anni esatti dalla scomparsa di un uomo che, della storia dei Giochi, fa parte a pieno diritto. Colui che, forse più di altri, ha impersonificato pienamente quello spirito originario che il barone Pierre de Coubertin propugnava a fine ‘800: quello di recuperare la fratellanza tra le genti e di ristabilire una sorta di riscatto sociale. Proprio per questo motivo le Olimpiadi moderne erano state pensate libere dai lacci della politica ma, nella realtà, non lo furono mai; i governi, specie quelli dittatoriali, tentarono sempre di usarle per le proprie strategie. Il caso più emblematico è avvenuto a Berlino.
Quando nel 1931 il Comitato Olimpico Internazionale individuò nella Germania il Paese organizzatore dei Giochi del 1936, mai avrebbe potuto immaginare ciò che sarebbe accaduto nel giro di un paio di anni nel paese teutonico. Hitler fece di tutto per fare vedere al mondo non solo dei Giochi perfetti e spettacolari mai visti prima, ma anche una Germania che sotto la sua guida doveva sembrare un paese pacifico, tollerante e florido, stanziando ingenti somme di denaro per costruire impianti e nuovi stadi, ristrutturare quelli vecchi e portare a termine importanti lavori di urbanistica. Goebbels, il ministro della propaganda, aveva capito per primo che le Olimpiadi a Berlino potevano diventare una grande occasione per la Germania nazista per aumentare il proprio prestigio internazionale e per fare tacere molte critiche interne. Durante i Giochi furono infatti organizzate 3.000 trasmissioni radiofoniche in 40 paesi del mondo, in tutti i continenti: un record assoluto per quegli anni. Per la prima volta le Olimpiadi furono trasmesse in televisione e vennero adibiti dei teatri per consentire la visione anche a coloro che non disponevano del piccolo schermo.
La cerimonia di apertura, tra svastiche e saluti nazisti, fu solenne e precisa. L’apoteosi al momento dell’ingresso della fiaccola, dopo oltre 3mila chilometri percorsi in giro per il mondo, fu un momento da ricordare. Anche questa fu una pratica che iniziò a essere di routine a partire dal 1936. Come è semplice immaginare, l’idea di una Germania potente e fiera doveva trasmettersi anche sul campo, attraverso le vittorie sportive. E, anche in questo caso, così fu: il medagliere ci racconta un podio in cui a primeggiare è proprio la nazione del Führer con 89 medaglie totali, seguita da Stati Uniti e Ungheria.
In questo clima di orgoglio e identità nazionale, tra festeggiamenti e marce trionfali per celebrare il Terzo Reich, una sola cosa andò “storta”: Jesse Owens. Il Lampo d’ebano, come molti giornali lo avevano ribattezzato; originario dell’Alabama e settimo di dieci figli di una famiglia assai povera. In quell’edizione il 23enne di Oakville si portò a casa 4 medaglie d’oro rispettivamente nei 100 metri (stabilendo il record mondiale: 10,3’’), nei 200 (record olimpico: 20,7’’), nella staffetta 4×100 (record mondiale: 39,8’’) e nel salto in lungo (record olimpico: 806 cm).
Quest’ultimo fu il successo che lo fece entrare nella storia. Jesse si trovava di fronte all’ultimo salto valido per accedere alla finale, quando qualcuno si avvicinò alle sue spalle. Era Luz Long, l’atleta tedesco di cui tutti attendevano la vittoria, che cercava di esprimersi con quel poco di inglese imparato a scuola. Aveva riconosciuto le sue potenzialità meravigliosamente espresse nelle gare precedenti. “Uno come te dovrebbe essere in grado di qualificarsi ad occhi chiusi”, disse. Poi gli consigliò il punto di stacco ideale per effettuare un salto valido indicandolo con un fazzoletto bianco posato accanto alla pedana. Long accompagnò il gesto con un’occhiata di intesa che non si aspettava di essere delusa e la conferma non tardò. Owens non solo si qualificò per la finale, ma superò lo stesso tedesco saltando ben 8.60 metri contro i 7.87 di Long e vinse così un altro titolo, per la furia di Hitler, che lasciò il balcone della tribuna autorità per evitare di assistere alla premiazione finale di un nero che trionfa davanti agli ariani.
Dopo quelle Olimpiadi, Owens continuò a gareggiare e a vincere per poi diventare allenatore. Morì a 66 anni, in povertà, abbandonato, portato via da un tumore ai polmoni a Tucson, in Arizona, il 31 marzo 1980. Nell’84 venne dedicata alla sua memoria una strada di Berlino che passa proprio davanti allo Stadio Olimpico. Dopo 40 anni Jesse Owens rimane ancora oggi un simbolo di libertà; il simbolo del campione che si è innalzato sopra la riluttanza nazista di fronte al primo rappresentante della discriminazione razziale.