Il 23enne milanese ha ripercorso le vittorie a cinque cerchi nei 400 stile libero e nei 100 farfalla
di Marco Cangelli© Getty Images
Le Paralimpiadi di Parigi 2024 sono state una sorta di “epifania” per Alberto Amodeo. Se l’esperienza di Tokyo 2020 ha consentito al ventitreenne milanese di assaporare il sapore di una medaglia, nelle acque francesi il portacolori delle Fiamme Gialle ha compiuto il salto di qualità conquistando l’oro nei 400 metri stile libero e nei 100 farfalla oltre al bronzo nei 100 stile libero. Il simbolo di una crescita passata da quell’incidente con una ruspa a dodici anni che gli è costata l’amputazione della gamba destra, ma non gli ha impedito di diventare un big del nuoto paralimpico mondiale, allenandosi a fondo al David Lloyd Malaspina Club di Peschiera Borromeo.
Cosa hanno rappresentato per lei le Paralimpiadi di Parigi 2024 dopo l’esperienza a Tokyo?
Parigi è stata completamente diversa. Tokyo con tutte le restrizioni non eravamo nelle condizioni di godercela appieno, anche perché c’erano 20.000 posti completamente vuoti e ogni giorno ci trovavamo con notizie di 7/8 atleti mandati a casa perché positivi al Covid. Qui invece abbiamo gareggiato in un’arena da 17.000 spettatori, con un villaggio dove poter incontrare da tutto il resto del mondo, con un sacco di attività da fare e un sacco di persone a seguire gli altri eventi.
Quanto l'ha aiutato aver tre anni d’esperienza in più rispetto alla rassegna nipponica?
Lì è cambiato completamente tutto. La stagione di Tokyo era stata una rincorsa disperata per trovare la qualificazione, un obiettivo impossibile da raggiungere senza lo slittamento per il Covid e che mi ha visto impegnato per un anno e mezzo al fine di ottenere il tutto possibile. Questa volta avevo a disposizione tre anni dove concentrarmi con calma e, passo dopo passo, arrivare a Parigi con una consapevolezza diversa e soprattutto, grazie a un lavoro fatto con la psicologa dello sport, un ultimo anno più tranquillo. Fino al Mondiale dello scorso anno ho dovuto combattere con l’ansia e la paura di sbagliare qualcosa. Ora invece riesco a godermi giorno dopo giorno gli allenamenti e quando sono arrivato in Francia ero sicuro di quello che avrei potuto fare.
Le vittorie di Parigi le hanno cambiato un po’ la vita? È arrivata la notorietà?
Un po’ di notorietà in più c’è, capita che qualcuno ogni tanto mi fermi per strada perché mi riconosce. Significa che molte persone ci hanno seguito a Parigi, si sono divertiti e quello che abbiamo fatto non è stato solo per noi. Questi risultati non mi hanno cambiato la vita, però è la coronazione di un sogno durato anni e poter aver al collo quelle medaglie è una grandissima soddisfazione.
Se nei 400 metri stile aveva già vinto l’argento, si sarebbe aspettato di imporsi anche nei 100 farfalla?
In realtà prima di partire avevo l’obiettivo di portare a casa due ori e il bronzo nei 100 metri stile libero. Arrivato là, visto il livello generale, non mi aspettavo più niente. Guardandomi in giro, vedevo una serie di avversari che mi portavano a pensare di arrivar primo come quinto. I 100 farfalla sono stati una gara complicata, anche perché arrivavo da un Mondiale dove avevo ottenuto l’oro e perché era la prova era fissata l’ultimo giorno, quando ci trovavamo a Parigi ormai da due settimane. La sera ho fatto la finale dei 100 metri stile libero con la premiazione finita alle 21.30 costringendoci a cenare tardi e dormire poco, avendo la batteria dei 100 farfalla mattina successiva. Questo mi ha costretto a raschiare il barile per trovare le energie necessarie per arrivar in finale, poi mi sono trovato ad affrontare una gara a inseguimento. Ho visto il cinese che era molto avanti, più di quanto mi aspettassi. Ho iniziato quindi a sfruttare le ultime energie rimaste per dare gas e, finchè non ho toccato la piastra e visto il risultato, non pensavo di riuscire a farcela.
Come si gestiscono due tipologie di gare totalmente diverse, sia nello stile che nella lunghezza?
La cosa in comune è che sono due gare molto faticose da preparare, però è quello che mi piace dello sport. C’è stato un gran lavoro, anche a Tokyo si pensava di pensar a provare a dire la mia sia sui 400 metri stile libero che nei 100 farfalla, però non essendo abituato alle emozioni legate alla medaglia conquistata nella prima specialità, mi sono scaricato eccessivamente e non sono riuscito a rendere al meglio nella seconda. Quest’anno, infatti, dopo l’oro dei 400, il mio allenatore mi ha intimato di tenere alta la concentrazione per i restanti giorni di gara.
Com'è riuscito a ripartire dopo aver perso la gamba a soli 12 anni, quando era praticamente un bambino?
All’inizio è stato complicato, però fortunatamente non sono stato da solo nell’affrontare questa esperienza. Ho avuto la fortuna di trovare un’équipe medica che mi ha veramente preso per i capelli e sistemato da cima a fondo. La mia famiglia mi è stata a fianco ancora prima che mi riprendessi dal coma farmacologico e forse quel momento è stato più pesante per loro. Uscire da una situazione del genere da solo sarebbe stato quasi impossibile. Il supporto di così tante persone che non vedevano l’ora che uscissi da questa situazione mi ha salvato. Il fatto di esser giovane, con tutta la vita davanti, è stato un bene perché ero consapevole di aver ancora tutta l’esperienza da affrontare, di trovare una nuova normalità e, passo dopo passo, sono tornato a godermi la mia vita senza più fermarmi.
Venendo dalla pallanuoto, com'è riuscito a trovare nuovi stimoli nel nuoto?
Facevo pallanuoto prima dell’incidente. Sono quindi tornato a giocare con la mia squadra, tuttavia questa disciplina è molto fisica e mi trovavo a beccare un sacco di mazzate. Abbiamo provato a creare un barlume di pallanuoto paralimpica, tuttavia non esisteva un vero movimento, quindi mi sono trasferito sul nuoto. Ciò che mi ha colpito di quest’ultimo è stato vedere un sistema veramente ben rodato, con competizione ad hoc, con allenatori preparati e atleti di spessore. Non conoscevo nulla all’epoca del mondo paralimpico, tanto che una delle prime persone che ho incontrato in acqua è stato Federico Morlacchi. Era il 2016 e l’ho visto realizzare in una gara regionale un record italiano, però ho dovuto cercare su internet per scoprire che a Rio de Janeiro aveva vinto quattro medaglie. Alla Pohla Varese non ho trovato solo una squadra, ma una famiglia che mi ha saputo dare una serie di stimoli per migliorare e andare sempre più veloce possibile.
Il nuoto l'ha aiutata a battere l’ansia?
In realtà l’ansia a volte mi ha frenato perché soprattutto quando si giungeva al momento clou della stagione, che si trattasse di un Mondiale o una Paralimpiade, insomma, che si dovesse metter a segno tutti i sacrifici svolti sino a quel momento. Con l’esperienza ho però pian piano raccolto la consapevolezza di quanto stessi facendo così quel salto di qualità che mi ha consentito di superare quella barriera d’ansia che mi portava a presentarmi in gara con una stanchezza legata ai vari problemi. A Parigi è stato diverso perché sono arrivato preparato, spinto più dalla curiosità di scoprire quali risultati avrei ottenuto e quali tempi avrei fatto.
Quali sono ora i nuovi obiettivi?
Ho passato così tanto tempo ad attendere Parigi che non posso pensare che sia già passata. Chiaramente lo sguardo è rivolto già a Los Angeles, anche se è una visione sul lungo termine. Anno dopo anno cercheremo di lavorare il meglio possibile, anche se a settembre 2025 ci saranno i Mondiali a Singapore prima di pensare alle nuove Paralimpiadi dove potrà succedere di tutto.