Dopo quello della "prima" italiana sul K2, un altro importante anniversario legato all'alpinismo delle altissime quote, ma non solo
di Stefano Gatti© Getty Images
Ottant'anni con stile, anzi con stile alpino per Reinhold Messner, il primo essere umano a raggiungere la vetta dell’Everest senza fare uso di ossigeno supplementare (nel 1978, ventiquattro anni dopo la "prima" assoluta di Edmund Hillary e Tenzing Norgay), il primo a tornare sul Tetto del mondo due anni dopo in solitaria (ventiquattro mesi prima con lui c'era l’austriaco Peter Habeler) e naturalmente il primo uomo a completare (nell'arco di sedici anni: 1970-1986) quella che ancora oggi è una “collezione” esclusiva: i quattordici Ottomila del pianeta. Un anno dopo di lui ci sarebbe riuscito il polacco Jerzy Kukuczka (nell'arco di soli otto anni, la metà di Messner, dal 1979 al 1987) e sono oggi ufficialmente quarantuno gli alpinisti che hanno completato la collana: l'ultimo il nostro Marco Camandona poche settimane fa. Eppure non bastano i numeri e le imprese a restituire fino in fondo (anzi, fino in cima) la grandezza di Reinhold Messner (nato il 17 settembre del 1944 a Bressanone) che festeggia - di sicuro con la semplicità e la schiettezza che da sempre lo definiscono - il proprio ottantesimo compleanno. Riduttivo al limite dell’affronto (ma anche questa è essenzialità) descriverlo come l’anello di congiunzione tra l’alpinismo post-eroico di Walter Bonatti (lui stesso innovatore e curiosamente scomparso undici anni fa di questi tempi, il 13 settembre) e quello contemporaneo, con i suoi grandi protagonisti e le sue ancora più grandi contraddizioni irrisolte o semplicemente irrisolvibili perché "in termini".
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Un mese e mezzo dopo il settantesimo anniversario della "prima" assoluta (e italiana) sul K2, l'agenda alpinistica 2024 incontra un'altra ricorrenza cerchiata in rosso: l'ottantesimo compleanno di Messner, che non aveva ancora del K2, che lo stesso Reinhold avrebbe calpestato quasi un quarto di secolo più tardi, il 12 luglio del 1979, a metà "strada" tra la sua prima senza ossigeno supplementare e quella in solitaria sull'Everest.
Nessuna traccia di cordata ideale però - come anticipato sopra - tra l'impresa della spedizione nazionale del 1954 e il successivo passaggio di Messner sugli 8611 metri della seconda montagna del nostro pianeta. Al contrario, una linea di discontinuità netta e attuale, al di qua e al di là delle quale si posizionano due modi di intendere l'alpinismo al suo massimo livello e sempre in opposizione tra loro, che Reinhold è stato il primo (o uno dei primi) a mettere al centro di un dibattito che resta di fatto largamente irrisolto e di fatto irrisolvibile, perché connesso alla libertà individuale.
Legata all’adozione dello stile alpino (leggero e anche solitario, contrapposto a quello campale e militare delle grandi spedizioni nazionali anni Cinquanta), la rivoluzione portata da Messner non ha mai sciolto il legame con lo stesso Bonatti (che Reinhold ha definito "il fratello che non sapevo di avere"), promuovendone lo spirito e le modalità ma senza nostalgie di sorta e di comodo. All’insegna invece di un slancio che ha fatto scuola, anche se Messner ha più volte allontanato da sé il suo ruolo di maestro, tenendosi ben stretti i propri principi personali e invitando gli altri a fare altrettanto. Riflessioni forse legate anche all’involuzione (contrapposta alla sua rivoluzione) dell’alpinismo himalayano contemporaneo.
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Un’eredità largamente tradita, quella che l’ottantenne Reinhold ha inevitabilmente consegnato alle generazioni di alpinisti che lo hanno seguito. Anche se, limitandoci a quelli italiani, gli esempi virtuosi non mancano. Simone Moro nel senso dell’alpinismo invernale ad altissima quota, Matteo Della Bordella in quello dell’avventura, François Cazzanelli (anche ma non solo) nel senso della velocità sugli ottomila. Tutti e tre nel senso della comunicazione e della promozione di un alpinismo possibile, nel solco della traccia aperta da Messner ma imprimendovi appunto la propria orma personale.
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Alpinista ed esploratore di fama mondiale (anzi leggenda vivente dell'alpinismo), scrittore discusso uomo-immagine, grande imprenditore di se stesso, europarlamentare dalle idee radicali e carismatico conferenziere, Messner è tuttora un testimonial richiestissimo e pronto a viaggiare per portare nei cinque continenti il suo pensiero e i suoi ideali, accompagnato dalla terza moglie Diane Schumacher, mentre risalgono solo a poche settimane fa le tensioni familiari (legate a questioni ereditarie) con i suoi quattro figli: la primogenita Layla (avuta dalla prima moglie Uschi Demeter) e poi Magdalena, Anna e Gesar Simon (alpinista di grande valore) avuti dalla seconda moglie Sabine Eva Stehle.
È però sulle Alpi che si svolge buona parte della sua attività, da molti anni ormai legata alla realizzazione di musei "esperienziali" che celebrano il mondo dell'alta quota e la sua frequentazione da parte dell'uomo, studiandone il complesso e delicato rapporto, muovendosi anche in questo caso con decenni di anticipo sul pensiero comune. Per celebrare gli ottant’anni di Messner riproponiamo l'esclusiva intervista-manifesto che Reinhold concesse a sportmediaset.it alla fine della primavera del 2022, in occasione del lancio del film dedicato al suo rapporto speciale e fraterno" con Walter Bonatti.
ggg