Il maestro russo si è spento a ottantotto anni dopo esser passato alla storia per la finale del campionato del mondo 1972
di Marco Cangelli© X
Il mondo è cambiato, eppure dopo oltre mezzo secolo, tutto sembra essersi cristallizzato. Lì fermo a quella sfida davanti a una scacchiera che sembrava semplicemente la metafora di un globo diviso a metà fra blocco occidentale e sovietico, dove ogni mossa di Boris Spasskij e Bobby Fischer poteva cambiare il destino dell'umanità. A distanza di cinquantatré anni il maestro russo ha deciso di muovere la pedina decisiva spegnendosi a ottantotto anni dopo aver segnato la storia degli scacchi e non solo.
Riservato, chiuso, a tratti scontroso, Spasskij in realtà conservava nella sua riservatezza un talento incredibile che gli ha consentito di diventare celebre dovunque grazie a quella sfida con l'americano Fischer a Reykyavik nel 1972, valida per il campionato del mondo di scacchi. In un clima di tensione dovuto alla Guerra Fredda, Spasskij rappresentava a tutti gli effetti il perfetto sovietico, deciso a non aprirsi agli altri e dimostrare a tutti i costi come il comunismo sovietico fosse più efficace del capitalismo a stelle e strisce.
Una visione decisamente stereotipata rispetto a quello che era realmente Spasskij, un uomo che nascondeva dietro quella "cortina di ferro" un carattere gioviale e aperto agli altri, compreso Fischer per il quale ha sempre portato grande rispetto. Questa sfida andata in scena in Islanda fermò letteralmente tutto il mondo tanto da spingere le televisioni a seguire l'incontro fra i due maestri dall'11 luglio all'1 settembre. Due mesi e mezzo infiniti nel quale lo scacchista russo fu costretto a cedere allo stress e alle mosse avanzate dall'avversario per sfiancare la sua formidabile pazienza.
Spasskij avrebbe potuto appellarsi a qualche cavillo per allungare la disputa, ma rispettando la sua profonda etica, decise di accettare di buon grado la sconfitta nonostante ciò avrebbe significato un graduale declino in patria. Dopo aver proseguito la carriera di maestro senza aver più l'appoggio del governo sovietico, Boris ripropose nel 1992 una rivincita a Belgrado con Fischer causando la furia degli Stati Uniti, contrari alla partecipazione del loro connazionale nella Jugoslavia sotto embargo.
Quella mossa costò a Fischer l'arresto nel 2004 a Tokyo per presunte irregolarità nel passaporto e anche in quel caso Spasskij mostrò tutto il buon cuore che lo contraddistingueva scrivendo una lunga lettera all'allora presidente George W. Bush: "Signor Presidente, nel 1972 Bobby Fischer divenne un eroe nazionale. Mi sconfisse nel match per il campionato del mondo a Reykjavík, sbaragliando l'armata dei grandi scacchisti sovietici. Un solo uomo sconfisse un'intera armata. Poco dopo, Fischer smise di giocare. In questo, rievocò la triste storia di Paul Morphy che, a ventuno anni, creò intorno a sé un'aura di leggenda sconfiggendo tutti i principali maestri europei e aggiudicandosi ufficiosamente la palma di campione del mondo. Poi smise di giocare e la sua esistenza si concluse tragicamente a New Orleans nel 1884, quando aveva solo quarantasette anni. Nel 1992, vent'anni dopo Reykjavík, avvenne il miracolo. Bobby ricomparve e disputammo un match in Jugoslavia. Tuttavia, in quel periodo, era in vigore contro la Jugoslavia un regime di sanzioni che impediva ai cittadini americani di intraprendere qualunque tipo di attività nel territorio di quel paese. Bobby violò le disposizioni del Dipartimento di Stato e il 15 dicembre 1992 la corte distrettuale degli USA emise contro di lui un mandato di arresto. Io invece sono cittadino francese dal 1998 e il governo non ha intrapreso alcuna misura contro di me. Dal 13 luglio 2004, Bobby è detenuto nel carcere dell'aeroporto di Narita per violazione delle leggi sull'immigrazione. Gli eventi sono stati riportati dai media. La legge è legge, non lo metto in dubbio, ma quello di Fischer non è un caso comune. Bobby e io siamo amici dal 1960, quando vincemmo ex aequo al torneo di Mar del Plata. Bobby ha una personalità tormentata, me ne accorsi subito: è onesto e altruista, ma assolutamente asociale. Non si adegua al modo di vita di tutti, ha un elevatissimo senso della giustizia e non è disposto a compromessi né con sé stesso né con il prossimo. È una persona che agisce quasi sempre a proprio svantaggio. Non voglio difendere o giustificare Bobby Fischer. Lui è fatto così. Vorrei chiederle soltanto una cosa: la grazia, la clemenza. Ma se per caso non è possibile, vorrei chiederle questo: la prego, corregga l'errore che ha commesso François Mitterrand nel 1992. Bobby e io ci siamo macchiati dello stesso crimine. Applichi quindi le sanzioni anche contro di me: mi arresti, mi metta in cella con Bobby Fischer e ci faccia avere una scacchiera".
Nonostante due infarti patiti negli ultimi anni, Spasskij non ha mai smesso di giocare a scacchi sino alla fine dei suoi giorni, mantenendo sempre quella correttezza nei confronti degli avversari che gli ha consentito di entrare di diritto nella cultura pop grazie al film "La grande partita". Una pellicola che ha ripercorso la storia della "Sfida del Secolo" offrendo uno spaccato di quello che è stata più che una semplice partita a scacchi.