Intrevistato sulla Gazzetta dello Sport, centro della grande Varese di inizio anni '70 (4 scudetti, 3 Coppa dei Campioni, 3 Intercontinentale, 1 Coppa delle Coppe e 4 Coppa Italia), ha parlato del raggiungimento imminente degli 85 anni e ha ricordato tanti aneddoti del passato: "Io lungo "moderno"? Sono stato l'ultimo dei pionieri. Oggi in NBA mi piacciono Jokic e Sabonis: che classe immensa. In confronto, mi sento piccolo. Però "rivedo" in loro qualcosa dei miei tempi, nonostante il basket sia cambiato tantissimo. Com'ero da piccolo? All'inizio giocavo a calcio. Un giorno un ragazzo che aveva notato la mia altezza (1.97, ndr), mi ha detto "proviamo". Mi sono innamorato e non ho più smesso. Mi piaceva la coralità. Nel calcio il pallone lo vedevi poche volte. Il campo da basket è più piccolo, ci sono meno giocatori, ci si passa più la palla: tutto è sempre in movimento. Varese? Una sorta di miracolo. Sono orgoglioso prima di tutto che, con Meneghin, Raga, Ossola e tutti gli altri, abbiamo dato inizio alla grande Ignis. E poi di esserne stato il capitano per 4 anni. Ho alzato ben 11 trofei, non se lo possono vantare in tanti. Il segreto è che eravamo amici: stavamo bene in campo e fuori. Abbiamo condiviso ogni cosa: grandi vittorie, ma anche sconfitte dure, come la finale di Coppa dei Campioni ad Anversa, contro il Cska Mosca nel 1971. Il mio famoso gancio? Nacque a Sarajevo, nella finale della coppa dei Campioni nel 1970, feci cinque o sei ganci di seguito. E lì nacque quel soprannome (Capitan Uncino, nda), prima ero solo "Flabo". L'allenatore dell'Armata Rossa si era stupito, ma Aldo Giordani, il grande telecronista, gli ribadì che di uncini avevo già riempito il mondo. Era il mio tiro preferito: all'inizio ero fra i giocatori più alti, poi già nel '65 ce n'erano anche più imponenti e mi serviva un modo per superarli. Il rapporto con Meneghin? Gli ho dato tanti consigli, ma è stato lui che ci ha messo tutto il resto. Gli ho insegnato piccoli trucchi del mestiere, soprattutto a essere un po' meno falloso. Dino è il mio grande amico, una persona intelligente che ha sempre capito tutto al volo. Giancarlo Primo mi richiamò in Nazionale perché avevo feeling con lui. La verità è che ha messo tanto del suo. Mi ricordo che i suoi miglioramenti, quando arrivò, furono velocissimi. Era una trave portante, un guerriero".