Il ct, intervistato da Repubblica, tocca tanti temi: "Resto ottimista riguardo a questo gruppo: nessuno crede nei giocatori italiani più di me"
© IPA
Non mancano mai argomenti e parole non banali quando parla Gianmarco Pozzecco. Il ct ha chiacchierato con Walter Fuochi per un'intervista pubblicata sull'edizione odierna di Repubblica.
Partendo dalla sua passione per le sfide, con una risposta netta alla domanda su un ritorno alla medaglia olimpica.
"Impensabile, quello. O non ipotizzabile. Rifletto sulla storia, che per noi italiani è stata ricca, e rafforzo l’idea di quanto il basket sia cambiato. Atene 2004 fu un’impresa, ma oggi non esiste. Troppi squadroni. La Germania che incontravo io era Nowitzki più altri undici. Oggi, dodici superatleti. Difatti, campioni del mondo. Leggi Sud Sudan e dici vabbè, poi affronti fior di giocatori e uno come Carlik Jones, da venti fissi in Eurolega".
Eppure, questa Nazionale è spesso riuscita a mettere in crisi i pronostici e di questo Pozzecco è molto orgoglioso.
"Se all’Europeo 2022 alla Francia non regaliamo una partita già vinta, in semifinale andiamo noi, già stesa la Serbia, come succede anche l’anno dopo, al Mondiale 2023, prima di perdere con gli americani. Sulla carta, l’Italia non potrebbe fare tutto ciò. Eppure l’ha fatto. Poi sento che si poteva far meglio e m’incazzo. Un fallimento? Ma dai".
Il presente parla di un processo di integrazione tra gruppo storico e nuove proposte che stanno facendo molto bene, con inevitabili scelte dolorose quando sarà il momento.
"La fusione va avanti, con idee chiare, e l’inevitabile dolore che sentirò, da ex giocatore, nell’ora delle esclusioni. Al primo nucleo che è qui dal 2022 sono affezionato e riconoscente. Merita di riprovarci. Poi valuterò i ragazzi in crescita e le sorprese. Devo portare i migliori. Il futuro è la specialità degli allenatori paraculi. La Nazionale è la squadra migliore del momento".
Ecco allora che, accanto al solito ottimismo, il ct piazza anche un po' di realismo.
"Senza poter garantire un risultato, però senza censurare i sogni, aiutando i ragazzi a viverli, pensando in grande. Amo la sfida, accetto le critiche e perfino le cattiverie. Che pure mi fanno girare le scatole. Ma sono ottimista, credo nei giocatori italiani, competitivi com’ero io quando eravamo sfidanti e vincenti. Mi chiedo quanti allenatori italiani oggi credono nei nostri giocatori e non lo so. Di certo so questo: nessuno quanto me".
Per chiudere con un paragone dei suoi.
"Anche uno come Van Gogh per anni non ha ricevuto rispetto, può capitare oggi a un povero coach di basket di non piacere. La mia scelta tra essere rispettato o amato l'ho fatta da un pezzo e credo sia chiara, basta guardarmi in campo. Gli unici che contano, se fai quello che ritieni giusto, sono i tuoi giocatori".