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"Ero sotto terra, non ero niente": Zach LeDay racconta la depressione

Il leader dell'Olimpia a cuore aperto a Eurohoops: "Quando mio padre è morto, mi ha scosso nel profondo. Ho pensato: perchè gioco ancora a basket?". E sul futuro: "Milano alle Final 4? Ci credo"

20 Feb 2025 - 09:30
 © IPA

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Zach LeDay è stato definito in mille modi diversi. "Supereroe", il più recente, per bocca del capitano dell'EA7 Emporio Armani Milano Giampaolo Ricci. Chi sia davvero il #16 dell'Olimpia, cosa sia accaduto affinché lo potesse diventare e come è cambiato il suo approccio alla pallacanestro dal suo arrivo in Europa è stato LeDay stesso ad approfondirlo, in una lunga intervista concessa a EuroHoops (qui per la versione integrale e originale, in inglese). Frasi profonde, schiette, sincere: grandi stralci delle parole di Zach non meritano altro che la traduzione fedele che segue.

IL SIGNIFICATO DI "MIGLIORE", NEL MONDO DELLA PALLACANESTRO

"È diverso per ogni giocatore. Io sono una persona che dà tutto, come un guerriero. Do il mio corpo alla mia squadra. Che si tratti di difendere Edy Tavares in una partita, trovarmi a difendere un playmaker in un'altra. Che io debba inseguire Vezenkov o Hayes-Davis. O quando la squadra ha bisogno che segni 30 punti. Ma anche le piccole cose che faccio nel gioco e che non appaiono nelle statistiche. Il lavoro durante l'offseason. La mentalità. Gli allenamenti, come i miei compagni fanno risaltare le mie qualità offensive. Le cose che mi fanno essere quello che sono.

La grinta e le cose che non si vedono nelle statistiche sono ciò che possono spingermi a un altro livello, essere il migliore. Penso che tutte queste siano qualità vincenti. Non importa dove ti trovi, a Milano o ovunque nel mondo.

Per la mia squadra, voglio essere conosciuto come un vincente. Qualcuno che sa fare la differenza. Quando mi firmi, sai quale cultura stai portando: "Questo ragazzo non vuole accontentarsi". Porto una certa durezza, energia e determinazione a qualsiasi squadra, ovunque vada. Essere la versione migliore di me stesso per aiutare la squadra a vincere.

È questo che mi fa andare avanti ogni giorno. Vedere tutti gli altri in Eurolega fare ciò che fanno. Mi motiva a continuare, a non fermarmi, a fare tiri in più, a lavorare sul mio corpo con i miei preparatori. A lavorare sulla mia mente".

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COSA SIGNIFICA PASSARE DA "FORTE" A "GRANDE"

"Quando sei forte, tutti ti conoscono come forte. È bello essere conosciuti, vieni riconosciuto. Ma c’è una differenza tra essere forti ed essere grandi. Spanoulis, ad esempio: lui è grande. Jasikevicius: lui è grande. Ci sono giocatori che conosci e, quando pronunci il loro nome, pensi: “Wow, quello è un altro livello". Quando ho seppellito mio padre lo scorso marzo, gli ho detto che voglio portarlo a un altro livello. Essere grande. Qualunque cosa debba fare. Ho messo il mio corpo e la mia mente alla prova. Tornando a Milano, dovevo tornare a un altro livello. Per questo cerco di tenere fede a tutto ciò che ho detto e mantenere ciò che ho promesso a mio padre, a me stesso e alla mia famiglia. Raggiungere gli obiettivi che ho per me e per la squadra".

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L'IMPATTO DEL PADRE, PRIMA E DOPO LA SUA MORTE

"Quando mio padre è morto, mi ha scosso fino nel profondo. Quando giochi a basket e arrivi al massimo livello e raggiungi una certa “celebrità”, ottieni cose di pari passo col lavoro. Giocare con tutte queste grandi squadre, fare quello che ami: è tutto una benedizione. Ma poi succede qualcosa del genere, all’improvviso. E non c'è nessuna quantità di soldi che possa riportarlo indietro. Nessuna fama che possa sistemare in qualche modo la situazione.
Mia madre mi ha chiamato. Ho giocato una partita a Barcellona (Barcellona-Partizan 94-76, 14 marzo 2024, nda), avevo detto che avrei giocato un’altra partita sperando che mio padre stesse bene. Quando sono arrivato a casa, mio padre era attaccato a un tubo. Non sono riuscito a parlargli. Non abbiamo riso insieme per l’ultima volta. Nulla. Era semplicemente attaccato a un tubo e stava lottando.

Io ho sempre cercato di parlargli. Ti ritrovi a farti del male dentro. "Perché non mi ha ascoltato? Ho fatto abbastanza? Ho usato le mie risorse per prevenire tutto questo?". Ero sotto terra, come una casa bruciata. Non ero niente. C’erano così tante cose che non ha potuto vivere, che non abbiamo potuto vivere insieme.

Abbiamo provato a fare tutto il possibile. Tutti mi guardavano.Tutti mi guardano e non c’è nulla che io possa fare. Per la prima volta nella mia vita, ero indifeso. Impotente. Questo mi ha scosso fino nel profondo. Mi ha fatto riflettere su tutto: sul basket, sulla vita. Mi ha fatto pensare perché gioco ancora a basket. Mi ha fatto pensare se voglio ancora giocare a basket - e io amo il basket, è la mia vita. Non avevo mai avuto questi pensieri oscuri. Non avevo mai attraversato queste emozioni.

Mi ha portato fino in fondo. Mi ha scosso fino nel profondo. C’erano molte cose di cui non sono riuscito a parlare con mio padre. Quando sei in fondo devi ricominciare a ricostruire. Non c'era altro posto dove andare. Non potevo scendere ulteriormente. Questa è la verità".

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L'IDEA DI RITIRARSI

"I pensieri che avevo erano così brutti… Non ho nemici, ma se li avessi, non li augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Il basket è tutta la mia vita. La vita di tutta la mia famiglia. Tutti sono ossessionati dal basket da quando ho iniziato a giocare alle superiori. La prima cosa che ti rende un buon giocatore è la mente. Lontano dalla famiglia, vieni in Europa e ti chiedi: "Per cosa sto facendo tutto questo?" Prepari il tuo corpo e la tua mente per tutto questo. Ma ti chiedi: "Perché lo sto facendo? Cosa sto inseguendo? Vuoi continuare? Vuoi fermarti? Vuoi una famiglia?". 

Ero al punto più basso. Per uscirne, devi superare un altro livello di ostacoli. E riuscire a ricostruire quella casa bruciata. È un segnale per la mia famiglia, per tutti quelli intorno a me. Si trattava di ricostruire. Volevo rientrare in gioco. Finire la stagione col Partizan".

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LA RIPRESA COL PARTIZAN

"Prima che salissi su un aereo per tornare a Belgrado e finire la stagione, abbiamo fatto una grande riunione di famiglia. Non mi avevano mai visto così emotivo. Tanti pianti. Do merito alla mia famiglia per essersi seduta e aver parlato con me. È stata simile alle riunioni nei momenti chiave della mia vita: quando sono partito per la prima volta da Dallas, quando sono andato per la prima volta al college, quando sono arrivato per la prima volta in Europa. Mi hanno detto: “Devi farlo. Sei tu la roccia. Sei tu che devi portarci avanti”. Tutti mi guardavano per capire cosa avremmo fatto.

Sono sempre stato grato e fortunato per poter giocare a pallacanestro. Quando attraversi qualcosa del genere ti fa essere ancora più grato per i piccoli momenti. Siamo stati di recente in trasferta per una settimana. Tre partite consecutive: Bayern Monaco, Zalgiris e poi Dinamo Sassari. Mi sono reso conto che eravamo via da una settimana, viaggiando. Mi sveglio una mattina e sono stato grato di vivere questa esperienza. Ho semplicemente detto una preghiera.

A volte diamo per scontato alcune cose. Piccole cose che ti riportano a te stesso quando succede qualcosa che ti scuote nel profondo. Diventi più umile e più grato. Per tutto.

Tornare per finire la stagione al Partizan è stato davvero un atto di ricostruzione. Un nuovo inizio. Voglio ancora vincere un’Eurolega, quello è il mio obiettivo finale nella mia carriera. Voglio essere un campione di Eurolega. Voglio vivere questa esperienza. È qualcosa per cui combatto". 

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LE MODIFICHE NELLA PRESEASON

"Da questa estate ho assunto un preparatore atletico, Sebastien J. Morin. È francese, vive con me. Mi tiene sul pezzo ogni giorno, sugli obiettivi che imposta per me. Ho al mio fianco i miei allenatori di basket, Barrington Stevens e Tyler Relph: siamo andati in palestra e ci siamo chiusi dentro. Avevo delle cose che non mi piacevano. Guardavo le percentuali, guardavo i piccoli dettagli. Guardavo le clip su Synergy, ogni cosa. Avevo delle cose che volevo perfezionare, e le abbiamo ripetute. Migliaia, milioni di volte. Siamo andati in sala pesi. Abbiamo cambiato la mia dieta. E questo è un processo continuo. Un processo quotidiano. Dal momento in cui mi sveglio"

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IL LEGAME CON DALLAS

"Quando ero bambino, mio padre mi allenava a football. Ha allenato molte persone nel quartiere. E tutti noi siamo cresciuti e ce l’abbiamo fatta. Molti dei miei amici mi hanno scritto quando è successo, perché mio padre è stato uno dei loro primi allenatori. Abbiamo ricordato quei momenti nel quartiere, giocando insieme. Correvamo fino alle cassette della posta, giocavamo a football mentre fuori faceva un caldo pazzesco.

Questo mi ha formato per diventare una bestia. Un guerriero. Lui sapeva cosa stava facendo quando ero un bambino. Quando sei bambino non lo capisci. "Papà, perché mi urli contro? Perché sei sempre così duro?". Ma lo faceva per il mio bene.

Sono tornato al quartiere la scorsa estate, non lo facevo da un po’. Ogni volta ero ad allenarmi, viaggiare, Summer League. Stavolta mi sono detto “Non vado da nessuna parte”. Ho deciso di tornare a East Dallas. Restituire qualcosa al quartiere, a tutti quelli che erano intorno a me. Ho giocato nello SwinCity Pro-Am (torneo estivo tra giocatori NBA, professionisti o collegiali, nda) con alcuni ragazzi con cui sono cresciuto. Non giocavamo insieme da molto tempo e loro dicevano: "Cavolo, è pazzesco che sei tornato". Tutta la mia estate è stata dedicata a restituire qualcosa alla città di Dallas. Ho sentito che questo mi avvicinava a mio padre. Sentivo che fosse qualcosa che lui voleva che facessi. Tornare nel quartiere.

È stata la cosa migliore per la mia mente. Per tutto. Essere con le persone con cui sei cresciuto... sei sempre allo stesso livello con loro. Non cambia mai. Quando torni, sei Zach, "Little Z". È stato positivo per me. Loro vedono il giocatore che sono diventato e sono fieri, ma è come tornare in strada, andare al parco. Sbucciarsi il ginocchio, essere buttato per terra. Ho riscoperto come essere duro. Come rialzarmi".

LA MEDITAZIONE

"Quando giochi a Belgrado per anni, devi fare sempre una sorta di meditazione. Anche solo per giocare contro la Stella Rossa, in partite che sono come una guerra. La meditazione che sto facendo da questa estate mi sta portando però a un livello diverso. Non riguarda solo come prepararmi per un "atmosfera da guerra". È un me contro me. Solo io posso fermarmi.

Manifestazione. Credo che vinceremo l'Eurolega. Forse nessun altro lo crede, ma io sì. Quindi lo manifesterò. Manifesterò i miei obiettivi. Manifesterò il passaggio dal "forte" al "grande". È un altro passo nel viaggio della manifestazione".

Dopo la vittoria con l'ASVEL ho detto "C’è un punto in cui stai sbattendo contro un muro… devi solo correre attraverso quel c*zzo di muro”: in quel momento c’erano un paio di cose che dovevo fare nella partita. Coach Messina mi aveva chiesto di sistemare le cose. La stagione è lunga e a volte vivi un periodo difficile. Perdi un paio di partite e ti chiedi se stai facendo abbastanza. È stato un momento della stagione in cui stavo sbattendo la testa contro il muro. E ho pensato, “Man… f*ttitene”. Basta sbattere la testa contro il muro. Adesso lo attraverserò. E l’ho fatto.

Ci sono molte partite in stagione, a volte il corpo e la mente si stancano. Stai facendo delle cose o cercando di aiutare i tuoi compagni. Qualunque cosa devo fare per aiutare la squadra, per essere il leader. Se devo giocare per qualcun altro, essere un guerriero per qualcun altro, se devo prendermi delle responsabilità, lo farò anche a costo di essere sopraffatto dalla stanchezza. Ho dovuto correre attraverso quel muro e l’ho fatto. Fa parte della preparazione mentale. Le cose su cui ho lavorato da quest’estate e che faccio ogni giorno".

UN LEDAY MOLTO PIÙ EMOTIVO

"Sono sempre stato un giocatore carico. Lo ero al Partizan e allo Zalgiris. Quest’anno sono veramente concentrato e cerco di portare il gioco a un altro livello, ma ho sempre portato energia. Alla fine della giornata, sono io che porto il mio vero io a Milano e cerco di portarlo ai tifosi per caricarli. Sento che è qualcosa che alza l'asticella e che ti fa vincere le partite. Energia. Concentrazione. Spinta. Dedizione. Determinazione. È ciò che ti fa vincere le partite in Eurolega anche se non hai la tua migliore serata.

Ma non tutti la pensano come me. Sono però riuscito ad ampliare la mia mente, a capire come guidare tipi di ragazzi diversi. Essere in grado di integrarmi in un altro gruppo".

IL MESSINA 2020/21 E IL MESSINA 2024/25

"La prima volta che sono arrivato qui, ero giovane. 26 anni. Ero con Hines, Chacho, Gigi Datome: leggende. Avevamo anche Micov, Delaney, Punter. Ero uno dei più giovani della squadra, insieme a Shavon Shields. Essere un giovane significa che non hai molto voce in capitolo. Stai solo seguendo il flusso. Venivo ogni giorno e seguivo le routine di tutti. Guardavo Kyle Hines. Guardavo la grandezza. Come entravano, come si presentavano, come preparavano i loro corpi e le loro menti.

Ho visto anche come viene allenata la grandezza. Se Ettore Messina è in grado di rendere Kyle Hines responsabile, chi sono io per non poterlo essere? Se Messina tiene sotto controllo Chacho, Gigi, Delaney... chi sono io? Ho potuto vedere questo, imparare da questo e capirlo.

Ho un ottimo rapporto con Ettore Messina. Crescendo a East Dallas, riuscivo facilmente a comunicare con tutti i miei allenatori. Parlavo con loro e a volte scherzavo anche, anche con i più seri. Ora, posso entrare nel sistema di Ettore e fare ciò che vuole che faccia per Milano. E sto guidando ragazzi che sono diversi da me. Che parlano un linguaggio di basket diverso dal mio".

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LA PRIMA FINAL 4 DELLA CARRIERA E LA LEADERSHIP AL PARTIZAN

"È stato fantastico far parte di quella situazione. Non avevamo altro in mente se non la Final Four, era l’obiettivo fin dal primo giorno. Se non pensavi in quel modo, non ti allenavi in quel modo, non preparavi il tuo corpo e la tua mente in quel modo, per andare a giocare quella partita...

Anche al Partizan mi sentivo parte di una squadra che poteva arrivare alla Final Four. Ovviamente, con la rissa in gara 2 col Real Madrid è cambiato tutto, una grande sfortuna. Al Partizan ero tra i leader: quando mi hanno preso insieme a Punter, siamo arrivati come leader, capitano e co-capitano. Poi abbiamo preso Mathias Lessort e Dante Exum, ci siamo responsabilizzati a vicenda.

Dopo essere stato un leader in un club come Partizan, allenato da Zeljko Obradovic ogni giorno, essendo tenuto agli standard che lui impone, arrivare a Milano è stato diverso: sono tornato come uno dei leader di un'altra squadra. Da veterano, più esperto. Per mettere in pratica le lezioni che ho imparato da Zeljko".

MILANO E L'OBIETTIVO FINAL 4

"Credo nella squadra perché credo nei leader che abbiamo. Nikola Mirotic, io, Shavon Shields. Credo che saremo in grado di capirlo e continuare a lavorare. Questo è l’obiettivo finale, questo è il motivo per cui giochiamo.
Nel basket, le possibilità sono sempre 50/50. Non sai mai cosa succederà. Quest’anno, le cose sono le più imprevedibili che abbia visto finora nella mia carriera in Eurolega. Credo in ciò che stiamo facendo ogni giorno. Credo nell’energia che mettiamo ogni giorno. Come giocatori, veniamo dentro e diamo tutto. Credo in ciò a cui stiamo lavorando
".

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