Intervistato per l'edizione cartacea della Gazzetta dello Sport, il papà di Danilo è tornato sulla sua esperienza da giocatore all'Olimpia: "In quel gruppo tutti avevano un ruolo. E Peterson pubblicamente difendeva sempre i suoi giocatori. Dan mi diede lo spazio per concludere gli studi di economia alla Bocconi, fu una grande soddisfazione. 11 anni all'Olimpia? Quando vado a vedere le partite e i tifosi mi riconoscono, sento di appartenere a una storia importante. Far parte di quel gruppo eccezionale è motivo d'orgoglio. Si parla spesso di vittorie di spogliatoio, e noi ne eravamo la prova. Si rideva, si stava bene insieme, e in campo si lottava uno per l'altro. Il mio ruolo in campo? Io ero apprezzato per quello che facevo, da parte sia dei compagni sia del pubblico e questo mi dava soddisfazione, insieme alle vittorie. Lo sentivo: ero in panchina, magari contro Caserta, dove giocava Oscar Schmidt, che non sbagliava mai. E percepivo che il pubblico aspettava che io entrassi a difendere: era un'emozione. Il titolo più soddisfacente? Le prime volte rimangono impresse: il primo scudetto, la prima Coppa Campioni... Ma c'è un altro ricordo a cui tengo molto. L'unica coppa che mi mancava era la Coppa delle Coppe: l'avevo persa a Ostenda con Milano. Poi, a Bologna, l'ho vinta contro il Real Madrid a Firenze. Quella vittoria chiudeva un cerchio. Quando Danilo mi iniziò a battere in 1vs1? Lui direbbe a 13 anni. Ma diciamo 16! Si è visto un po' prima che aveva qualità fuori dal comune e talento. Tutti gli dicevano che era il più bravo, il mio ruolo era quello di abbassare un po' le sue aspettative, di fare in modo che rimanesse comunque con i piedi per terra. Quando ha indossato la maglia dell'Olimpia? È stato un momento davvero indimenticabile".