Il 7 aprile di 33 anni fa l'allenatore goriziano fu incaricato di sostituire Liedholm sulla panchina rossonera: cominciò la carriera di uno dei mister più vincenti di sempre
Sono passati 33 anni da una notte che cambiò il destino di un uomo. Fabio Capello, infatti, era un ex calciatore che aveva appena preso il patentino da allenatore. Era il vice di Nils Liedholm come allenatore di un Milan che aveva appena conosciuto Silvio Berlusconi. Il “Barone” si defilò dopo una sconfitta ad Avellino e nella notte tra il 6 e il 7 aprile 1987 Berlusconi e Adriano Galliani, in una riunione a Milanello, affidarono la squadra a Capello, che esordì pareggiando negli ottavi di ritorno di Coppa Italia, a Parma, venendo eliminato.
A guidare quegli emiliani era Arrigo Sacchi, di cui Berlusconi si infatuò. Sarebbe diventato l'allenatore del Milan degli olandesi, ma prima c'era da finire la stagione: con buoni risultati, Capello si mostrò all'altezza del maestro Liedholm e vinse lo spareggio Uefa con la Sampdoria (1-0). I giornali si sbizzarrirono a fare giochi di parole con il cognome dell'allenatore (“Milan, in Europa per un Capello”, titolò «La Stampa»). Ma ben presto tutti gli addetti ai lavori si accorsero che con quello che sarebbe diventato “Don Fabio” c'era poco da scherzare.
Dopo un periodo da dirigente della Polisportiva del gruppo Fininvest, Capello tornò al Milan nel 1991 in sostituzione di Sacchi, che aveva lasciato per guidare la Nazionale. Uomo di “scuderia”, dovette affrontare da subito lo scetticismo di coloro che lo ritenevano solo la proiezione di Berlusconi in panchina. Rispose sul campo, riproponendo nei primi due anni ritmi e schemi di Sacchi ma aggiornandoli secondo il suo credo (ad esempio rinunciò al fuorigioco sistematico). Nacque così il Milan degli Invincibili, che chiuse il campionato 1991-92 senza sconfitte. Fu scudetto anche nei due anni seguenti, ma al loro interno il Diavolo cambiò abito. Nello specifico, quando Marco van Basten cominciò a essere martoriato dagli infortuni, Capello passò dal gioco sacchiano a uno più difensivo. L'abbondanza di soluzioni lo convinse inoltre a introdurre la pratica del turnover per gestire al meglio la rosa: fu tra i primi a farne uso nel mondo del calcio, mentre oggi è la regola.
Il goriziano non guardava in faccia a nessuno: se c'era da far riposare Baggio, Savicevic, Boban, Lentini, non si faceva problemi e li metteva in panchina. Aveva appena creato una squadra che finalmente poteva dire sua. E questa squadra, nel 1993-94, sfoggiò una difesa sensazionale: i rossoneri registrarono un record di imbattibilità di 929 minuti che sarebbe durato per 22 anni. Con quel Milan non si passava e se ne accorse anche il Barcellona di Cruijff, che si arrese in finale di Champions League per 4-0. Unico successo nella coppa dalle grandi orecchie per Capello: quello di Atene fu un intervallo gioioso di un film amaro, visto che i rossoneri persero le finali del 1993 e del 1995 rispettivamente contro Marsiglia e Ajax. A queste si aggiunsero anche i k.o. in Coppa Intercontinentale contro San Paolo (1993) e Velez (1994).
Nel 1996 salutò con le lacrime agli occhi, lui sergente di ferro, i tifosi del Milan, vincendo nel complesso quattro scudetti in cinque anni, una Champions League e una Supercoppa europea. Impossibile dire no al Real Madrid, che riportò sul trono di Spagna al primo colpo. L'amore tra Capello e i Blancos durò pochissimo, nonostante i risultati. Rapporti tesi con stampa, società e tifosi, che fischiavano il suo calcio ritenendolo troppo sparagnino. Il ritorno di fiamma con il Milan non portò nulla di buono e la stagione 1997-98 fu la peggiore della sua carriera.
Dopo un anno sabbatico accettò la chiamata della Roma, dove sostituì Zdenek Zeman. E chissà come si sono sentiti i giocatori, che in poco tempo dovettero cancellare il lavoro del boemo, non proprio il riferimento di Don Fabio. Che dopo una stagione interlocutoria, chiusa al sesto posto, si preparò per il capolavoro. Nell'estate del 2000 arrivarono Batistuta, Samuel ed Emerson: era una Roma da salotti altissimi, e Capello portò la macchina al traguardo come meglio non poteva. Dopo 18 anni i giallorossi si laurearono campioni d'Italia.
Altre due stagioni in giallorosso e Capello, dopo aver affermato che non sarebbe mai andato alla Juventus, in estate firmò per la Vecchia Signora, raccogliendo l'eredità di Marcello Lippi. Il cambiamento fu più radicale rispetto al passato: subito 4-4-2 con Nedved largo, mentre la coppia offensiva Ibrahimovic-Trezeguet relegò spesso e (mal) volentieri Del Piero in panchina. A Torino arriveranno due scudetti (cancellati da Calciopoli) e altrettante delusioni europee, con una Juventus eliminata da Liverpool e Arsenal nei quarti. Anche per questo la scintilla con il popolo bianconero non scoccò mai, mentre con l'addio della Triade fu più facile tornare a Madrid. In Spagna vinse un campionato incredibile, segnato fino alla fine da rimonte emozionanti (fondamentale quella contro il Saragozza di Milito alla penultima giornata). Capello diventò re di Spagna una seconda volta, dopo essere stato criticato e insultato un anno intero dai tifosi, mandati a quel paese platealmente dal friulano nel gennaio 2007. Approvò la cessione di Ronaldo, mise fuori squadra per due mesi Beckham e perse la pazienza con Cassano (che ne imitò la camminata in un celebre prepartita), ma compattò la squadra attorno alla sua figura nella seconda parte di stagione. Vinse la Liga e zittì i fischi del pubblico, ma il rapporto con il presidente Ramon Calderon, che pure lo aveva voluto fortemente, si logorò al punto da essere esonerato a fine stagione.
Finita l'avventura a Madrid, Capello chiuse con i club, parentesi allo Jiangsu Suning a parte, per dedicarsi alle nazionali. Ha sempre sostenuto di voler allenare l'Inghilterra e ci riuscì nel dicembre 2007. Dapprima osannato per la fama di duro vincente, finì sotto accusa dopo il Mondiale sudafricano del 2010. L'Inghilterra subì una lezione sonora negli ottavi contro la Germania (4-1) ma su quella eliminazione pesò come un macigno un gol fantasma non concesso a Frank Lampard. Palla nettamente dentro, sarebbe stato il 2-2 al 38' e probabilmente il Mondiale di Don Fabio sarebbe cambiato. Dopo aver conquistato la qualificazione agli Europei, a febbraio 2012 il tecnico, ritenendosi scavalcato, si dimise quando la Federazione tolse la fascia di capitano a John Terry. Riportò la Russia ai Mondiali dopo 12 anni, prevalendo sul Portogallo di Cristiano Ronaldo nei gironi di qualificazione. Ma a Brasile '14 l'avventura finì già ai gironi e nel 2015 arrivò la rescissione. Quella delle nazionali rimarrà forse l'unico neo nella carriera del tecnico di Pieris, che nel palmarès può vantare sette campionati, quattro Supercoppe italiane, una Champions League e una Supercoppa europea. Ma tutto iniziò in quella notte di Milanello.