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INTERVISTA ESCLUSIVA

Branca, chi si rivede: "Inter, per vincere ci vuole passione"

L'ex DT dell'Inter non ha incarichi ufficiali da 7 anni: "Mourinho il più bravo di tutti, oggi mi piace Klopp, ma per tornare a vincere ci vorrebbe la voglia di Moratti"

di Enzo Palladini
15 Gen 2021 - 18:15

Strani scherzi fa il calcio. Oggi costruisci una squadra che vince tutto, domani sei a casa ad aspettare la telefonata giusta. E lì resti. E' successo a Marco Branca, demiurgo dell'Inter capace di vincere il Triplete, oggi disoccupato a 56 anni e sparito completamente dai radar dei club che contano. Forse più per scelta che per casualità, ma sempre pronto per una nuova avventura e ricco di storie da raccontare. 

Branca, si sono perse le sue tracce. Cosa sta facendo adesso? 
"Consulenze varie. Gente che ha bisogno di competenze come le mie mi chiama per dare una mano. A volte società di calcio,  a volte procuratori. Incarichi ufficiali non ne ho avuti". 

Come mai il calcio si è dimenticato di lei? 
"Non si è dimenticato. Mi chiamano in tanti. Mi hanno offerto anche dei posti di lavoro, quattro o cinque volte siamo arrivati anche a trattative abbastanza avanzate, poi non ci sono state le condizioni per andare avanti. Prima o poi arriverà il progetto giusto, posso permettermi di aspettare". 

Il suo addio all'Inter è datato 8 febbraio 2014: può raccontarci come andò? 
"Molto semplice. Qualche mese prima aveva lasciato la presidenza Massimo Moratti. Mi aveva chiesto di restare un po' di tempo per gestire la transizione. Quando è arrivato il momento ci siamo detti addio". 

Non c'era proprio possibilità di restare con la gestione Thohir? 
"Proprio no. Dopo undici anni di lavoro con Moratti era giusto che l'uomo di maggior fiducia della vecchia proprietà si facesse da parte. Così ho fatto". 

Cosa ha rappresentato per lei Massimo Moratti? 
"E' l'uomo che più di tutti ha creduto nelle mie capacità, prima come calciatore e poi come dirigente. Fino a quel momento e in entrambe le professioni io potevo avere delle potenzialità, ma non era così scontato che poi fossero messe in pratica. Con il tempo come calciatore e come dirigente penso di aver dimostrato quello che valevo, ma Moratti ha visto tutto questo prima degli altri. Mai finirò di ringraziarlo". 

E l'Inter cosa ha rappresentato per lei? 
"Impossibile scindere l'Inter di quegli anni da Moratti. Erano un'entità unica. Era l'Inter di Moratti, fatta di passione e amore sconfinato. Una combinazione tra un lavoro svolto ad altissimo livello e una passione pazzesca. Ho lavorato, ma è come se non avessi mai lavorato, perché tutto veniva fatto con leggerezza e passione. Anche nei momenti difficili". 

Si parla sempre del Triplete visto dalla parte di Mourinho o dei giocatori. Come è stato quell'anno visto dalla sua parte? 
"Dopo il primo anno di Mourinho mi ero reso conto che con quel club, con quel presidente e con quell'allenatore si poteva arrivare molto in alto. Forse non ero riuscito a figurarmi il Triplete, ma alla Champions League stavo pensando, quello sì. Avevo fiducia nel gruppo anche se durante quel mercato stravolsi tutte le regole del calcio, cambiando sei titolari alla squadra. Sapevo che la mentalità vincente era già stata costruita, servivano gli uomini giusti al posto giusto. Andai a prendere giocatori che nelle rispettive squadre venivano considerati poco, ma secondo me dovevano solo capire alla svelta cosa fosse l'Inter. E così fu, con l'allenatore a fare da ultimo catalizzatore". 

Con Mourinho ci furono contrasti a proposito di quelle scelte? 
"Non mi ha mai imposto niente, se non il primo anno quando ci fece prendere Quaresma. Il secondo anno, come era sempre avvenuto in passato, scegliemmo io e il presidente. Mou voleva Ricardo Carvalho e Deco. Io feci le mie verifiche non solo dal punto di vista tecnico, ma anche sulla fattibilità delle due operazioni, poi mi misi al lavoro su altri nomi. Presi Lucio e Sneijder, non contro la volontà di Mourinho, ma con il suo beneplacito". 

Mourinho è stato l'allenatore più segnante della sua carriera di dirigente? 
"Nettamente. Completo da ogni punto di vista. Intelligente, ironico, organizzatore, psicologo con i giocatori che ne hanno bisogno. Ha bisogno di uno staff ben composto per smussarne certi angoli, ma è eccezionale. E' un allenatore più bravo degli altri e non di poco". 

Da giocatore, quale allenatore ricorda con affetto? 
"Sembra paradossale, ma mi sarebbe piaciuto approfondire la conoscenza con Carlo Mazzone. L'ho avuto alla Roma per pochi mesi prima di passare all'Inter, ma mi colpì molto il suo modo di trattare con i giocatori. Mi sarebbe piaciuto approfondire la conoscenza con lui".

Come vede l'Inter di oggi?
"Una squadra bene attrezzata, può puntare a vincere il campionato e la Coppa Italia che sono gli obiettivi rimasti. Ci sono dei problemi da risolvere ma può arrivare lontano". 

Come mai l'Inter non vince da tanto tempo? 
"Non è una questione di soldi e di investimenti. Se andiamo a ben vedere, le due proprietà post-Moratti non hanno speso meno di Moratti, eppure non hanno vinto. La differenza la fanno le scelte. Per vincere non basta acquistare buoni giocatori, prendere un bravo allenatore, scegliere un direttore tecnico preparato e uno staff medico all'avanguardia. Deve essere tutto incastrato alla perfezione e tutto al massimo livello. L'Inter di oggi ci sta provando, quella di Moratti ha vinto". 

Quali sono allora le vere differenze tra quell'Inter e quella di oggi? 
"La proprietà attuale decide poco a livello sportivo. Ha assunto delle persone che devono dedicarsi a questo aspetto. Moratti invece è un grande competente di calcio, ha avuto un padre che ha scritto la storia dell'Inter, vede partite almeno dal 1963, conosce giocatori e allenatori. Ha sessant'anni di calcio alle spalle e un'immensa passione". 

Parliamo del Branca calciatore e delle sue doti tecniche notevoli: c'è qualcuno che le assomiglia oggi? 
"Io ero un attaccante con la tecnica di un trequartista bravo, direi quasi ottimo. Iniziai a fare l'attaccante a 24-25 anni, ero molto particolare. Oggi non vedo giocatori che mi somigliano, anche perché lavorano su altre caratteristiche". 

Cosa le è mancato nella carriera di calciatore? 
"La maglia azzurra, che amavo molto. Devo molto a Cesare Maldini che mi portò all'Olimpiade di Atlanta come fuoriquota. Purtroppo quella squadra era un po' stanca, io ero entusiasta e segnai tutti i quattro gol di quella spedizione. Mi è dispiaciuto molto non avere mai vestito la maglia della Nazionale maggiore, ci avrei tenuto molto". 

E adesso c'è Inter-Juve: come la vede? 
"Il suo vero valore dipenderà anche dai risultati delle altre partite. Sarà una lotta di nervi e vincerà chi li avrà più saldi, perché quando si gioca Inter-Juventus ogni minimo episodio, ogni gesto tecnico, ogni potenziale fallo, viene amplificato all'estremo". 

Conte e Pirlo: si immaginava di trovarli sulle due panchine a questo punto?
"Me l'aspettavo, perché ognuno a suo modo avevano già le caratteristiche per diventare allenatori. Conte in campo aveva l'anima del comandante, Pirlo aveva aplomb inglese e grande carisma. Conte persegue i suoi obiettivi fino allo sfinimento e lo si capisce, Pirlo lo fa ugualmente ma si capisce meno da fuori". 

Facciamo che domani lei riceve um incarico da una società ricca e può scegliere l'allenatore. Mourinho non è disponibile. Prende uno tra Conte e Pirlo? 
"No. Ne prendo un altro". 

Il nome ce lo dice? 
"Prendo Klopp. Se proprio non posso prendere Mourinho, punto sul tedesco. Mi piace da pazzi, ha davvero qualcosa in più". 

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