In Italia, nessuno ha vinto come lui: scudetti, Eurocoppe e un Mondiale. Ora è in Cina: con la sua storia e le sua ambizioni
Settant'anni tra Viareggio e Pechino, i poli del suo mondo: casa e lavoro di Marcello Lippi, che oggi festeggia il compleanno. La prima gli appartiene da sempre, è il rifugio di famiglia, degli affetti, degli amici, del mare: la sua vita. Il secondo è la scelta di sentirsi ancora padrone di una panchina, perdipiù ambiziosa come quella della Nazionale dei Dragoni: un anno e mezzo fa gli avevano chiesto il "miracolo" di andare ai Mondiali di Russia, un miracolo appunto. Svanito.
Celebrare Lippi significa parlare di una eccezionale... normalità. Nel calcio italiano ha vinto come nessuno: perché a scudetti, Coppe Italia, Champions League, Coppe Uefa, Mondiali per club e Supercoppe assortite ha aggiunto il Mondiale azzurro 2006. Un trionfo "che non è paragonabile a nulla. A nulla". La normalità è nella vita quotidiana e anche nella filosofia del suo calcio senza etichette. "Non è il tipo di gioco a essere fondamentale. La cosa importante è avere 23-24 giocatori bravi, che siano tutti bravi. Questo è decisivo. Giocherai il calcio che meglio si adatta a loro". Semplice?
L'adolescenza da... milanista, la carriera da calciatore tutta doriana (la Samp), quella di allenatore che si è preso tutta la juventinità possibile. Il Milan l'aveva "rapito" giovanissimo, a Viareggio, per via di quel Torneo che ancora oggi fa parte della tradizione. E Marcello abitava nella zona che ospitava i diciottenni rossoneri, offrendosi di fare da raccattapalle agli allenamenti in Pineta: la simpatia rossonera era un effetto naturale.
La Sampdoria, poi, frutto del suo talento calcistico dopo la crescita nella Stella Rossa Viareggio. Il debutto sotto la guida di Fulvio Bernardini, un mito di calcio, tattica e saggezza, maestro di generazioni di calciatori e allenatori, il disincato e l'allegria dei suoi amici viareggini. Ha raccontato: "Dicevano che non ero buono per il calcio... Solo quando ho allenato la Juve hanno cominciato a dirmi: sai che sei bravo". Il decennio in maglia blucerchiata: come si dice, una bandiera.
Poi la panchina. Pontedera, Siena, Cesena, Lucchese, Atalanta, Napoli. Bene, benino, un esonero, quello strano momento lucchese ("I tifosi, in quanto viareggino, non mi hanno mai amato: per loro ero il bagnino"), i botti fra Bergamo e il San Paolo coi primi lampi della sua bravura ad alto livello, fino alla Juventus: estate 1994. Quei colori in bianco e nero che da 24 anni gli stanno cuciti addosso e dentro: la juventinità acquisita, non per questo meno forte.
Ha spiegato il segreto della juventinità vincente. "Giocare nella Juventus, significa non accontentarsi mai". E allenarla fa lo stesso, magari di più. "E' stata la mia grande storia d'amore: la Juve. Poi la Nazionale". L'approccio, dopo il triennio del Trap e con l'avvento della triade Giraudo-Moggi-Bettega, non è dei migliori in quanto a calore e accoglienza della piazza: da nove stagioni senza scudetto, la Juve "deve" ripartire. Lippi è l'uomo giusto? Racconterà, Lippi, le perplessità di Umberto Agnelli sull'esito finale: perplessità spazzate con lo scudetto, con Vialli-Baggio-Ravanelli e il primo Del Piero, e l'era lippiana di un calcio (il suo) a suo modo innovativo, capace di intrigare l'Europa. E di conquistarla.
La Champions League nel '96, altre due finali, altri due scudetti, l'Intercontinentale, Supercoppe e quei numeri dieci che sono stati il suo orgoglio e non solo. Il talento di Alex Del Piero, che con Lippi ha condiviso i trionfi euromondiali e il Mondiale azzurro. Zinedine Zidane, "che giocava su una nuvola, dove nessuno poteva salire". E Roby Baggio, non si sono mai amati, nel breve contatto juventino (una stagione) e in quello interista (tredici mesi). Baggio disse: "Contro di me ha utilizzato tutto il potere che aveva. Un attacco dopo l'altro, uno stillicidio".
Come ogni grande amore, anche il bianconero attraversò la crisi: esonero nel tardo '99, reintegro nell'estate 2001, il tempo per salire sul trono-scudetto il 5 maggio 2002: il titolo strappato all'Inter all'ultimo respiro, il crollo di Ronaldo e Cuper all'Olimpico laziale: la soddisfazione quello scudetto, tutti ormai pensavano che l'avrebbe vinto l'Inter. Ma non era la sua rivincita dopo la breve e bruciante avventura interista, finita a... pedate nel sedere. In un'Inter che no gli aveva mai perdonato la sua juventinità. La finale di Champions persa ai rigori col Milan nel 2003, come preludio al suo ultimo anno bianconero.
Lippi e la Nazionale in tre... tappe. Dalla Juve alla panchina da ct è un irripetibile sogno che si avvera. "Avevo la fortuna di allenare una squadra di campioni". Già: Buffon, Pirlo, Totti, Del Piero per citare il numero uno e i talenti numeri dieci, e tanti altro, un gruppi di "affamati". Lippi disse: "Il Mondiale lo vincerà chi ha più fame di tutti. Noi ce l'avevamo". Nel maremoto di Calciopoli, un giorno sì e l'altro pure si parlava dello scandalo fuori da Casa-Italia, ma dentro no: vietato interferire. Italia-Germania 2-0 e Italia-Francia decisa ai rigori la notte di Berlino sono l'apoteosi. E il suo... arrivederci.
Già prima di vincere il Mondiale aveva deciso di andare via dalla Nazionale. Due anni a meditare, a studiare e guardarsi attorno. Fino alla richiesta/scelta di tornare nel 2008: "E tornare -raccontò- fu una cavolata, una delle più grosse in carriera. Ma dovevo riconoscenza a un gruppo di giocatori straordinari, convinto di ripagare la loro fiducia. Ma non si deve mai tornare dopo aver vinto un Mondiale". In Sudafrica 2010 finì come nel 2014: fuori al primo girone. Verso il 2018 è andata anche peggio: nemmeno qualificati.
E qui, come terza tappa lippiana, mettiamoci un rimpianto, diciamo così. Già, perché la scelta di Ventura ct nell'estate 2016 era stata fatta con la "garanzia" di Lippi come supervisore, per amicizia con Ventura e per competenza. Ma un cavillo burocratico riguardo a suo figlio procuratore fece saltare la nomina e quel binomio, così Ventura restò solo. Chissà se con Lippi al suo fianco le sorti di Italia-Svezia sarebbero cambiate. Chissà...
A fine febbraio, a Viareggio, c'è stata la cena... anticipata dei suoi 70 anni. Poi via verso Pechino, la Nazionale cinese, la corsa di un calcio che vuole crescere e imporsi e ha scelto Lippi (da ottobre 2016). Non è facile, ma è anche questo il senso della sua sfida, della sua voglia di avventure nuove, è dal 2012 che naviga verso quel mondo, prima al Guangzhou, ora coi Dragoni, insegnando calcio e imparando ogni giorno: l'interprete, l'autista per la guida perché i cartelli stradali sono un problema, il suo staff, questi calciatori cui insegnare la tecnica, la tattica, le malizie del Pallone, gli intervalli ogni due mesi per tornare in Italia e stare con la famiglia. E' il suo nuovo mondo, a 70 anni non si sente appagato, in Cina ha vinto anche una Champions League asiatica nel 2013. Già. Non sarebbe stato bello scordaresene.