Quello di Luis Enrique è infatti il trionfo di uno stile, nato con Cruijff sul finire degli anni ’80, e, grazie alle scelte societarie, proseguito nel tempo con Rijkaard, Guardiola e Luis Enrique: tutti vittoriosi nel nome del calcio di qualità, con il quale il Barca ha ottenuto quasi il 50% dei titoli nazionali in palio dal ’90 ad oggi (12 su 25), 5 Champions League, 4 SuperCoppe Europee, 2 Mondiali per Club: una egemonia mai vista nella centenaria storia del club, conquistata giocando un calcio divertente e spettacolare. Un calcio diverso nell’interpretazione data dai vari Cruijff, Rijkaard, Guardiola e Luis Enrique, ma uguale nell’idea e nello schema: il 4:3:3, con variazioni al 4:3:1:2, considerato un modulo tattico irrinunciabile se si vuole giocare un calcio divertente e equilibrato. In Spagna lo definiscono “calcio di posizione”, perché prevede uno schema nel quale si formano continui triangoli, dalla difesa sino all’attacco, nel quale il centrocampista basso-Busquets, titolare inamovibile - è il giocatore piu’ importante, e guarda caso piu’ sottovalutato dalla critica italiana: con una grande tecnica, ma senza velocita’, Busquets, dotato di superiore intelligenza tattica e senso della posizione, è quello che chiama il pressing e gestisce il possesso-palla e i tempi del gioco, il direttore dell’orchestra catalana. Accanto a lui, due fenomenali centrocampisti: Iniesta, forse la mezzala piu’ completa del calcio mondiale, e Xavi, al passo d’addio proprio contro la Juventus, sostituito quest’anno dall’eccellente Rakitic: grazie al loro straordinario contributo, e al continuo movimento di tutta la squadra, il Barcellona riesce quasi sempre ad attaccare 1 contro 1, e a difendere in superiorità numerica. Il suo è un gioco corto e rapido, che vede la costante partecipazione di 7/8 giocatori, e prevede una serie infinita di passaggi palla a terra, grazie al quale si riesce non solo ad attaccare, ma anche a difendere, con grande equilibrio.