Una tragedia aerea come tante altre, purtroppo. Ma con un risvolto umano ancora più triste per i due sfortunati passeggeri
Non c’è sollievo nel ritrovamento in fondo al Canale della Manica dell’aereo di Emiliano Sala e di David Ibbotson, il pilota del Piper Malibu che stava trasportando il neoacquisto del Cardiff City da Nantes alla capitale del Galles per iniziare un nuovo capitolo di vita tra i “Bluebirds”. Non c’è sollievo, semmai una certezza che tutti noi avevamo già accettato, tranne le famiglie delle vittime, per le quali ogni faticoso passo verso la verità è una spina in più in fondo al cuore.
Ma anche a chi può permettersi di apprendere e registrare, senza essere direttamente toccato negli affetti, gli ultimi sviluppi della vicenda possono suggerire pensieri speciali. Ed allora può capitare di notare quanto la recente tragedia sia molto rara nel suo genere e per questo ancora più dolorosa. Per accorgersene, è sufficiente tornare con la memoria alle vicende di molti altri campioni dello sport che (insieme a chi li accompagnava o semplicemente era accomunato dallo stesso destino) hanno perso la vita a causa di un incidente aereo.
Una casistica purtroppo vasta: Superga (1949, il Grande Torino), Monaco di Baviera (1958, Manchester United), Libreville (1993, la Nazionale di calcio dello Zambia), fino alla tragedia della Chapecoense in Colombia, novembre 2016. E poi tanti altri ancora. Nella storia dello sport, appunto, ed in quella dell’aviazione civile. Come dimenticare, ad esempio, il disastro aereo delle Ande del 1972? Una storia per fortuna anche di sopravvivenza – ma terribile - quella dei rugbisti dell’Old Christians Club di Montevideo, raccontata in libri e film. Come accaduto anche per l’incidente di due soli anni prima, costato la vita alle promesse della squadra di football della Marshall University, negli Stati Uniti.
Tante tragedie diverse nelle cause e nella dinamica ma fondamentalmente molto simili tra di loro. Per l’ampia risonanza, l’alto numero di vittime, la molteplicità di storie personali e familiari, i misteri spesso rimasti irrisolti e le verità indicibili, a volte insopportabili. Nei cieli della Manica, invece, due uomini soli, una gelida sera di gennaio. Possiamo forse immaginare Ibbotson attento alla strumentazione ed al tempo stesso curioso di domande all’attaccante argentino. Emiliano, alto ed atletico, seduto un po’ curvo e sacrificato nell’abitacolo angusto. Dentro un piccolo aereo, non un jet di linea con decine di persone a bordo. Senza nessuno che, pur accomunato dallo stesso destino ormai compiuto, potesse regalare loro l’illusione di una qualche manovra di salvataggio da provare a mettere in atto prima dell’inevitabile. Senza il conforto di qualcuno da abbracciare, a cui stringere la mano, dare un ultimo bacio. Nessun compagno di squadra, fratello, amico, fidanzata.
Solo il buio fuori dai finestrini e magari le luci della costa: distanti, anzi ormai parte di un altro mondo. Forse anche l’amarissima coscienza di un presagio trasformato in realtà. Un rombo impazzito o piuttosto un lungo sibilo. E poi la distesa d’acqua: livida e sempre più vicina. Come la collina di Superga e la pista di Monaco di Baviera, i picchi delle Ande o i boschi della West Virginia.