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L'ultimo titolo nazionale dei Reds risale al 1990, quando il campionato nemmeno si chiamava Premier League. E da allora tantissimo è cambiato Oltremanica...
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Ora anche l'aritmetica lo rende ufficiale: il Liverpool è campione d'Inghilterra. Lo diventa senza nemmeno giocare, dato che il Manchester City era tenuto a battere il Chelsea per tenere viva la Premier League e l'impresa e sfumata. Arriva quindi la grande notte dei Reds, attesa trent'anni e giunta in un anno e in condizioni quantomeno particolari. Ma per la prima volta dal 1990, il Liverpool torna a salire sul trono del calcio inglese.
Trent'anni e più. Anzi, per la precisione 11016 giorni. Tanti ne sono trascorsi tra il 28 aprile 1990 e oggi, 25 giugno 2020: si tratta dell'intervallo, lungo ben 1573 settimane, durante il quale il Liverpool non è stato campione d'Inghilterra. Da quel titolo vinto nel 1990, quando l'avversaria più agguerrita fu l'Aston Villa, a questo 2020. L'anno giusto, come era apparso sin dalle prime giornate di campionato, che si stava tramutando nell'anno sbagliato per mille motivi. Il più evidente, e tragico, sono ovviamente il Coronavirus e la pandemia che hanno messo in ginocchio il mondo e che anche nella stessa Gran Bretagna hanno colpito con particolare severità. Come dimostra un dato, gelido e ineluttabile: il Regno Unito è stato la quarta nazione al mondo a superare la cifra dei ventimila decessi in ospedale a causa del flagello COVID-19.
Il Liverpool aveva vissuto e costruito la sua annata perfetta, iniziata idealmente il 1° giugno 2019 con la conquista della Champions League e proseguita sollevando la Supercoppa Europea e il Mondiale per Club. Restava però l'incantesimo Premier League, mai vinta dai Reds addirittura da quando si chiama così: era infatti ancora la vecchia First Division quella conquistata in quel lontano 1990, in cui in panchina sedeva Kenny Dalglish, tra i pali agiva il funambolico Grobbelaar, i gol erano affidati a Barnes e Ian Rush e il quartetto Staunton-Houghton-Whelan-Beglin rendeva i Reds la inglese più amata dagli irlandesi.
Era un altro calcio d'oltremanica, quello. Troppe tragedie erano ancora fresche nella memoria collettiva (due, quella dell'Heysel e quella di Hillsborough, giunte peraltro in partite del Liverpool). Gli hooligans erano un problema nazionale e internazionale. Ma quel delicatissimo periodo storico vedeva nei rossi del Merseyside la big per eccellenza. Ben 18 volte avevano vinto il campionato, di cui 10 nei precedenti 15 anni. Nel frattempo l'Arsenal era fermo a nove, il Manchester United a sette, il Manchester City e il Chelsea addirittura a due e uno, rispettivamente.
Questi trent'anni hanno cambiato il calcio inglese nella più profonda maniera possibile, scuotendolo dalle fondamenta. L'esplosione della Premier League ha però visto il vecchio Liverpool recitare fin troppo spesso la parte della comparsa di lusso. Lo dimostrano tanti, troppi sesti, settimi, addirittura ottavi posti a fine campionato. Mentre nuove epopee venivano scritte: lo United di Ferguson, l'Arsenal di Wenger, il Chelsea di Abramovich, il City di Guardiola. L'anno giusto sembrava non arrivare mai, e quando arrivava c'era sempre qualche dettaglio che impediva di spezzare l'incantesimo. Il Liverpool continuava a essere una macchina nelle coppe (come dimostrano l'Uefa e le due Champions vinte nell'arco del trentennio), ma nei confini inglesi era costantemente costretto a inseguire.
La cavalcata di un anno fa sintetizza il tutto: trionfo continentale, terribile amarezza su suolo albionico. Con uno dei duelli più appassionanti della storia perso sul filo del traguardo: una sola sconfitta in tutto l'anno per il Liverpool, 97 punti in cascina, ma titolo al Manchester City. A quota 98.
Nel frattempo, il 2019-2020. L'anno era quello giusto, ma tutto si era tremendamente complicato: tre mesi e mezzo di stop, con i pensieri che inevitabilmente quanto legittimamente si erano spostati su altro. La vita, che prende il sopravvento sullo sport nella maniera più drammatica possibile. E quella sensazione che il +25 sul solito Manchester City, le 27 vittorie su 29 partite, il gusto del trionfo a un passo e della tanto attesa riscossa non solo non potessero più arrivare. Ma non avessero più nemmeno senso.
Intanto però il calcio ha ripreso il suo corso. A porte chiuse, ma l'ha ripreso. Il Liverpool si è concesso uno 0-0 nel derby con l'Everton, poi il 4-0 sul Crystal Palace è stato sufficiente a risvegliare l'entusiasmo. Poi è arrivato una storica rivale come il Chelsea. Questi trent'anni sono finiti, il Liverpool è campione d'Inghilterra. Lo è grazie al profeta Klopp, alla classe di Salah, Mané, Firmino, al totem Alisson in porta, al duo Oranje van Dijk-Wijnaldum, al cuore british di Henderson, Gomez, Oxlade-Chamberlain, Alexander-Arnold.
Il Manchester City stavolta si è inceppato, la vittoria a Stamford Bridge sul Chelsea non è arrivata. E anche se dal divano di casa, il Merseyside può festeggiare: dopo trent'anni il Liverpool torna sul trono d'Inghilterra. Senza nemmeno giocare, vero. Ma forse non poteva essere diversamente, in un giorno di festa tanto atteso ma giunto in circostanze così particolari.