I nerazzurri perdono di misura contro la squadra più forte del mondo e possono essere fieri di come hanno affrontato la partita
E' vero, la storia non si fa con i se e i ma. L'Inter che torna da Istanbul, però, non può smettere di recriminare sulle nette occasioni che avrebbero potuto cambiare quella che, sulla carta, sarebbe dovuta essere una finale già scritta. Invece la coppa è andata alla squadra che sarà anche la più forte ma, nella serata decisiva, non ha mostrato un gap così evidente rispetto agli avversari in nerazzurro. Il Manchester City si gode la Champions e il treble, l'Inter la certezza di non essere un’imbucata alla festa del meglio del calcio europeo.
Inzaghi, come sempre nelle partite secche, ha dato il meglio di sé nella preparazione del piano gara. L'Inter ha cercato, per buoni tratti della partita, di disturbare la costruzione del City da posizioni anche piuttosto alte del campo. Sui tre centrali difensivi di Guardiola uscivano le due punte più Barella, con Calhanoglu e Brozovic pronti ad alzarsi per braccare Stones e Rodri, chiamati a dare uno sfogo verticale nella prima impostazione. Darmian si alternava con Dumfries nella marcatura di Grealish e nell'uscita su De Bruyne, che spesso si allargava sulla sinistra, anche in zone basse del campo, per trovare uno spazio libero. Bastoni teneva d'occhio Gundogan, aiutando Di Marco impegnato su Berbardo Silva. Ecco, gli aiuti reciproci, soprattutto sull'esterno (occasione del gol di Rodri a parte...), hanno impedito al City di trovare le solite imbucate con i tagli tra centrali e laterali avversari. Tutto grazie alle letture e al sacrificio di giocatori come Brozovic, perfetto nelle scalate in orizzontale. L'Inter ha saputo anche mantenersi corta e compatta, anche se difficilmente è riuscita a ripartire sfruttando giocate che le sono proprie, come quelle innescate da Onana per pescare direttamente le punte o l'esterno rimasto libero nel gioco delle scalate del City. Anche i cambi di campo sono stati meno frequenti di altre occasioni.
Di fronte, però, c'era la squadra di Guardiola, e già averne ridotto le potenzialità offensive, permettendosi anche il lusso di spaventarla con almeno quattro grandi occasioni, non è un'impresa da poco, anche se si porta dietro il solito corollario di rimpianti. Pep ha scelto di frenare la fluidità della prima costruzione nerazzurra con un blocco di quattro giocatori schierati su tutto in fronte offensivo. Con opportune scalate e adattamenti, Bernardo Silva, Haaland, De Bruyne (e poi Foden) e Grealish, hanno disturbato l'avvio di azione dell'Inter. Gundogan e Rodri, poi, hanno seguito aggressivamente i centrocampisti nerazzurri che provavano a dare uno sfogo alla manovra dietro la prima linea di pressione. Difficile, comunque, arrivare con Onana direttamente sulle punte che avevano ben 4 centrali difensivi a controllarli (visto che Stones, in fase difensiva, tornava a fare il suo mestiere di difensore in quella sorta di 4-2-4 che era il City quando non aveva il possesso).
Il Manchester non è comunque riuscito ad avere il solito strapotere nella gestione della partita (56% di possesso palla) e ha rischiato grosso per alcune ingenuità commesse nelle vicinanze dell'area di rigore. L'Inter, insomma, si lecca le ferite, come accade in questi casi. E, anche se non esistono sconfitte indolori, perdere così non può che renderti ottimista per il futuro.