L'ex allenatore in un'intervista a LaPresse: "Hanno un problema coi verbi. Coniugano solo il verbo vincere, non pensano a divertire"
Arrigo Sacchi tira una bella stilettata alla Juventus. "La Juve - ha detto a LaPresse - è 10 anni avanti a tutte le altre. Il suo limite sono i verbi. Noi al Milan ne coniugavamo tre: vincere, convincere, divertire. La Juve ne coniuga uno: vincere. E' una debolezza. Si dirà: 'Ma in Italia continua a vincere'. E io dirò: anche il Rosenborg vince sempre lo scudetto in Norvegia. Ma ciò che conta è la Champions League e in Europa la Juventus fatica".
Sacchi ha parole poco al miele anche per Massimiliano Allegri, con il quale in passato ha avuto un paio di accesi battibecchi. "Io divido gli allenatori in tre categorie. La prima è quella che comprende un piccolo drappello di geni, di innovatori, che mettono il gioco al centro del loro progetto. La seconda è quella degli orecchianti che seguono la moda senza sapere un granché. La terza riguarda quelli orgogliosamente aggrappati al passato, che fanno della tattica esasperata il loro modus operandi, che sono ingessati a un solo sistema di gioco - ha spiegato l'ex ct dell'Italia -. Max è una via di mezzo tra le prime due: è un grande tattico, sa cambiare in corsa, però non deve accontentarsi solo di vincere".
Non è quindi un mistero che l'allenatore della Juve non faccia parte della ristretta cerchia degli eletti del mago di Fusignano. ""Stiamo uscendo dalla dittatura tattica del primo non prenderle. Oggi c'è un gruppo di tecnici che porta avanti un'idea diversa di calcio. Chi sono gli eletti? Di Francesco, Spalletti, Sarri, Paulo Sousa, Giampaolo"
Il tecnico che con la sua idea di gioco ha cambiato il Milan e il calcio italiano è stregato da Antonio Conte al quale dà un sincero consiglio. "Conte è un autentico fenomeno, deve solo spogliarsi di una certa italianità - le sue parole -. Che significa essere più coerente. Il calcio totale non ha molto a che vedere con l'italianità. Io Antonio l'ho visto allenare: ha idee chiare, talento, inventiva. È ora che si tolga di dosso la paura. Basta giocare con la sindrome di Pollicino addosso: palla a noi, non agli altri".