La ricostruzione di quanto successo in Piazza San Carlo: "O scappavi o rimanevi schiacciato"
“Ho pensato subito al Bataclan”. Basta forse questa frase per capire il nonsenso di quanto è accaduto, sabato sera, in Piazza San Carlo a Torino. Millecinquecento feriti, un bollettino di guerra. Per cosa? Per il panico, per la paura, per la psicosi. “Ho visto la morte in faccia, è stata l’esperienza più brutta della mia vita”. Chi lo racconta, il giorno dopo, si trova nell’incredibile situazione di sentirsi un sopravvissuto ad un attentato senza che ci sia stato un attentato.
Piazza San Carlo era piena già dal pomeriggio di sabato. Un solo maxischermo, quindi la corsa ad accaparrarsi il posto migliore era partita presto. Nel 2015, per Juventus-Barcellona, gli schermi erano due: la calca, dunque, non era concentrata tutta in un’unica direzione. Chi c’era sia sabato sera che due anni fa non riesce a non notare la questione: “Nel 2015 oltre ai due maxischermi in due posizioni differenti era stato transennato il monumento equestre della piazza: stavolta, invece, durante la partita c’era tanta gente aggrappata alla statua e sui lampioni”.
Ce lo racconta Giovanni Ansaldo, giornalista di Internazionale, a Torino con cinque amici. La piazza era mogia e triste: Ronaldo aveva da poco segnato il 3-1. Tutti in fissa sullo schermo, poca speranza. Poi “un rumore sordo”. A seconda di dove la gente si trovava nella piazza, si hanno racconti leggermente differenti. Marco e Andrea, amici juventini arrivati a Torino dalla provincia di Varese, parlano di “due esplosioni, petardi o bombe carta”. Fatto sta che la gente, di colpo, ha iniziato a indietreggiare, a correre, a scappare in direzione opposta.
“Chi non si è girato in tempo, è rimasto schiacciato”, spiega Ansaldo. “Io sono caduto, ho perso gli occhiali. Non so come, li ho ripresi e ho iniziato a correre”. Il fatto è che nessuno capiva il perché. “La gente gridava ‘bomba, bomba!’. E allora ho pensato ad un attentato. Ma più che pensare a quello, c’era solo da correre, perché addosso arrivava una massa di gente infinita, ad una velocità pazzesca”. La situazione è degenerata in pochi secondi perché si sono alzate grida come “ci stanno sparando”. È stato il caos totale.
Chi è riuscito a stare in piedi è corso, magari senza scarpe, perse nella fuga, verso i portici laterali della piazza, che si sono riempiti in un attimo, con la gente ammassata contro le vetrine. “Mentre si correva abbiamo visto tanta, tanta gente insanguinata. Tante ragazze, cadute a terra, che si sono tagliate con le bottiglie di vetro. Era un si salvi chi può, mentre si correva non si badava a chi stava a terra. Coi nostri amici ci siamo persi di vista subito”. Con la gente ai bordi della piazza, pigiata, sono passati pochi istanti prima che il panico tornasse a serpeggiare. “Tutti gridavano di stare calmi, che non era successo niente, che si trattava di petardi”. Ma mentre la gente rimaneva accalcata, si è sentito un altro rumore non ben identificato, forse la ringhiera delle scale del parcheggio che è ceduta. E allora il caos ha ripreso il sopravvento.
“Di nuovo, tutti hanno ripreso a correre all’impazzata. Era come una mandria impazzita, la mia fortuna è stata di essere riuscito ad infilarmi in una stradina laterale. Ma una volta lì, abbiamo continuato tutti a correre per 3-400 metri, perché a quel punto il pensiero di un attacco terroristico era forte”, spiega Ansaldo. “Noi abbiamo trovato riparo a casa di una persona che ci ha aperto, ma abbiamo visto scene incredibili: dei ragazzi hanno sfondato la vetrina di una banca, credo, e sono saliti ai piani superiori per nascondersi. Era il panico generale”, racconta Andrea.
La rete telefonica è andata in tilt, era impossibile telefonarsi. “Solo con Whatsapp siamo riusciti, dopo forse 20 minuti, a ritrovarci. La gente era insanguinata, spaesata, senza scarpe. Prestavamo i cellulari alle persone che volevano provare a chiamare i loro amici e parenti ma avevano perso tutto: i telefoni, gli zaini. Tutto”.
Troppe le bottiglie di vetro a terra. Eppure, in teoria, non potevano essere portate in piazza. All’ingresso ci sono stati dei controlli agli zaini: quelli classici da stadio, con la requisizione delle bottigliette. Evidentemente troppo blandi, se è vero che sono finiti in piazza quintali di vetro, petardi e fumogeni. “Ci abbiamo messo un po’ a capire che no, non era successo niente, che siamo scappati per sopravvivenza”. E così, mentre la partita finiva, mentre a Londra scattava un vero allarme terrorismo, Torino si piegava alla paura. È sembrato il Bataclan, ma tanti hanno solo ripensato all’Heysel.