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Conte, a Madrid dureresti? Ecco come sono andati gli altri cinque italiani al Real

La provocazione di Diego Costa all'allenatore dell'Inter riporta l'attenzione sui pochi connazionali che hanno lavorato per i Blancos

27 Apr 2020 - 10:06

Secondo Diego Costa, “Antonio Conte al Real Madrid non durerebbe una stagione”. Tra i due non scorre buon sangue, al punto che l'allenatore dell'Inter - ai tempi del Chelsea - aveva avuto un diverbio con l'attaccante, poi sfociato nella cessione all'Atletico Madrid. L'affermazione pone un'altra questione, curiosa se si vuole, perché solo cinque connazionali, tra campo e panchina, hanno fatto parte dei Blancos.

Il primo italiano a partire verso Madrid, sponda Real, è stato Fabio Capello. Dopo cinque anni pieni di successi sulla panchina del Milan, l'allenatore friulano cambiò aria e nel 1996 accettò le sirene spagnole. Invitante la sfida di rialzare i Blancos, reduci da una stagione molto negativa. Sul piano dei risultati, la stagione di Don Fabio fu soddisfacente, perché il Real tornò sul trono di Spagna dopo un anno. Ma l'amore tra Capello e i Blancos durò pochissimo: rapporti tesi con stampa, società e tifosi, che fischiavano il suo calcio ritenendolo troppo sparagnino. Eppure, nella formazione-tipo del Real Madrid 1996-97 l'attacco era composto da giocatori del calibro di Suker, Mijatovic e Raul, mentre a centrocampo Redondo e Seedorf erano presenze fortemente qualitative. Capello dunque tornò al Milan, ma il ritorno di fiamma con i rossoneri non portò a nulla di buono. Dopo le esperienze con Roma e Juventus, e scoppiata la bomba-Calciopoli, l'allenatore si guardò intorno e rispose “sì” alla nuova chiamata del Real. Nella stagione 2006-07 le cose andarono esattamente come dieci anni prima: campionato vinto (uno dei più incredibili degli ultimi 20 anni, arrivato dopo una serie di rimonte emozionanti) ma storie tese, tesissime, con presidenza e tifoseria. Fu aspramente criticato, addirittura insultato, dal pubblico, mandato a quel paese platealmente dal friulano nel gennaio 2007. Si inimicò parte della squadra, approvando la cessione di Ronaldo e mettendo fuori squadra per due mesi Beckham.

Tra i calciatori che Capello ha avuto a disposizione nei due periodi spagnoli c'erano anche tre italiani. Quello più longevo con la camiseta blanca è stato Fabio Cannavaro: tre stagioni da titolare, anche lui emigrato dopo Calciopoli. L'ex capitano della Nazionale faticò a imporsi nei primi tre mesi, quando si è dovuto adattare a un nuovo stile di gioco e a un modo di difendere totalmente diverso. Ma, superata la fase di apprendimento, arrivarono due titoli consecutivi, e nel 2009 il saluto al Bernabeu tra la standing ovation del pubblico. Una Liga la hanno conquistata anche Christian Panucci e Antonio Cassano: il difensore arrivò sotto espressa richiesta di Capello nel gennaio 1997 e a Madrid giocò due anni e mezzo, vincendo anche una Champions League; “Fantantonio”, invece, tra il gennaio 2006 e giugno 2007 accumulò quattro gol in 29 partite (quasi tutte spezzoni di gara) e nel secondo anno di permanenza al Real si inimicò il tecnico di Pieris imitandone la camminata in un celebre prepartita.

L'ultimo italiano a essere ospitato nella Casa Blanca è stato Carlo Ancelotti, quello che dei cinque citati è ricordato meglio. Il motivo? Ha portato la “Décima” Champions League a Madrid, traguardo rincorso per 12 anni e raggiunto in una finale al cardiopalma contro i cugini dell'Atletico, acciuffati solo al 93' da Sergio Ramos e poi domati ai supplementari. Arrivarono anche una Supercoppa europea e un Mondiale per club, poi l'esonero nel maggio 2015, dopo l'eliminazione in semifinale di Champions League contro la Juventus. Come se portare a casa tre trofei in due anni fosse poco, ma che a Madrid vincere non bastasse lo sapeva benissimo anche Capello.

Capitolo a parte la parentesi di Arrigo Sacchi che per un anno, da dicembre 2004 a quello 2005, aveva rivestito la carica di direttore dell'area tecnica. Un'esperienza conclusa per motivi personali dopo mesi comunque difficili, con incarichi non ben delineati tra cura dei rapporti con i giocatori e obiettivi di mercato fino all'esonero di Luxemburgo che di fatto portò al divorzio.

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