Logo SportMediaset
In evidenza

Seguici anche su

IL RETROSCENA SULLA PANCHINA AZZURRA

Gasperini e il mancato approdo in Nazionale: "Venni contattato da Lippi, ma poi si virò su Ventura"

Il tecnico dell'Atalanta ha raccontato il retroscena che lo avrebbe visto vicino alla panchina azzurra dopo l'addio di Antonio Conte

22 Nov 2023 - 11:12

"C'è stato un momento in cui ero stato contattato da Marcello Lippi, ma poi fu scelto Ventura. Io mi sento più pronto per una squadra di club, anche se alla Nazionale non diresti mai di no". A rivelarlo è Gian Piero Gasperini che ha parlato ai microfoni di Radio Serie A spiegando come nel 2016, dopo l'addio di Antonio Conte al termine dell'Europeo, avrebbe potuto diventare il commissario tecnico della Nazionale

Considerato l'esito del percorso dell'Italia verso i Mondiali di Russia 2018, tutto sarebbe potuto cambiare, tuttavia il destino a volte tira brutti scherzi e ha impedito che l'allenatore dell'Atalanta approdasse sulla panchina azzurra. Una situazione che, a distanza di sette anni, non si potrebbe in alcun caso ripetersi come spiegato dallo stesso Gasperini: "Oggi è faticoso, per chi è abituato ai club, allenare le nazionali, perché c'è una sovrapposizione di partite incredibile. Una volta la pausa delle nazionali era più corta, ora è un problema per i club, ma anche per le nazionali che non riescono a soddisfare le loro esigenze. Noi cerchiamo di adattarci preparando le partite in modo più veloce". 

L'Italia non è stata l'unica formazione che Il Gasp avrebbe potuto allenare nel corso della sua carriera, ma che è rimasta soltanto un sogno. È il caso della Juventus, un mondo che il tecnico di Grugliasco ha vissuto da giocatore e da allenatore delle giovanili, ma che per poco non lo ha visto ricoprire il ruolo di head coach: "Anni fa, quando ero ancora al Genoa, c'è stato un momento in cui sono stato vicino alla panchina bianconera. Erano altri dirigenti, non ho più avuto contatti diretti con la Juventus - ha raccontato Gasperini -. Io sono sempre stato impegnato e sotto contratto, sia col Genoa sia con l'Atalanta; quindi, non mi sono mai trovato nella condizione di essere libero di poter andare in qualche altra società. Qui sto bene, siamo arrivati a giocare la Champions, non ho bisogno di andare da altre parti". 

L'Atalanta è ormai casa sua e qualcuno spera che possa rimanerlo a lungo, tanto da prospettare un "contratto a vita", un po' come per Alex Ferguson con il Manchester United o Arsene Wenger con l'Arsenal. Dopotutto questa è l'ottava stagione sulla panchina orobica e le prospettive di allungare ulteriormente la propria permanenza sino al 2025 ci sono tutte con lo stesso tecnico piemontese che si augura di poter mantenere la guida della Dea per i prossimi anni.

"La mia storia con l'Atalanta è meravigliosa, spero duri ancora a lungo, abbiamo raggiunto una dimensione importante. Questo è il mio ottavo anno, in Italia sono l'allenatore più longevo. Sono stato agevolato dall'aver trovato un ambiente in cui ci siamo consolidati a vicenda. C'è sempre stato un rispetto totale tra me e la proprietà. Sono cambiati gli obiettivi nel corso degli anni, le difficoltà sono aumentate. Difficile sopportarmi? Il calcio è una materia di confronto, non sempre si è d'accordo, ma si possono creare delle basi per crescere e migliorare. Abbiamo diversi confronti, ma qui ho trovato una proprietà fantastica che mi ha sempre lasciato lavorare nel modo migliore. Periodicamente si possono avere visioni differenti, io sono un tecnico della società e faccio valere le mie idee, sempre nel rispetto della proprietà che è quella che, in assoluto, deve decidere - ha sottolineato Gasperini -. Quanto ho fatto guadagnare all'Atalanta? Non ho mai fatto il conto, ci sono stati tanti giocatori ceduti a grandi cifre. Ho sempre pensato a quello che la società sceglieva, in modo da valorizzare al meglio i giocatori e la squadra. 500 punti nella mia gestione? Sono tanti, soprattutto per una società che per tantissimi anni non aveva superato i 50 punti in campionato. È sicuramente un grande risultato. Cosa chiedo a un nuovo giocatore che arriva nell'Atalanta? Quello che io chiedo è di integrarsi immediatamente nel territorio e nella mentalità di questa società. Si chiede essenzialmente grande professionalità e appartenenza, poi c’è l'aspetto tecnico. Gli atteggiamenti sono fondamentali: in questo io e la proprietà abbiamo la stessa visione. Io sono il tramite della società, dobbiamo avere sempre atteggiamenti adeguati a quello che rappresenta l'Atalanta. Quando sono arrivato c'era una squadra composta da tanti giovani che non trovavano spazio. Di questi sono stati venduti poi Caldara alla Juventus, Gagliardini e Bastoni all'Inter, Kessie e Conti al Milan. Questo già al primo anno, poi c'è stata un'evoluzione di alcuni giocatori che sono rimasti qua per tanti anni: basti pensare a Toloi e De Roon e ci si può rendere conto di quanto siano migliorati a livello di rendimento". 

Fra i momenti ricordati dal torinese ci sono sicuramente la semifinale di Champions League sfiorata a Lisbona nel 2020 e sfumata soltanto negli ultimi minuti del match contro il Paris Saint Germain, ma anche periodi difficili come la depressione in cui cadde Josip Ilicic proprio a ridosso dell'importante appuntamento europeo oppure gli addii di Alejandro Gomez e Joakim Maehle che hanno aperto alcune spaccature nello spogliatoio atalantino. "A un certo punto lui ha cominciato ad avere dei sintomi, non stava bene. Lì si è completamente isolato e non sopportava il fatto di non poter tornare a casa, soffriva della lontananza dalla famiglia. Da quel momento ha avuto delle difficoltà, noi gli siamo sempre stati vicino. Ricordo la partita di Valencia, dove fece quattro gol: era tra i migliori giocatori in Europa, avrebbe potuto vincere il Pallone d'oro. Quando dovevamo andare a Lisbona contro il PSG, la settimana prima ero andato a trovarlo in una clinica: aveva perso 10-12 kg… - ha rivelato Gasperini parlando dello sloveno, prima di parlare del rapporto con Maehle -. Il mondo della comunicazione è in difficoltà, rispecchia sempre meno le persone. Per fare titoli si è disposti a passare sopra qualsiasi cosa, raccontando le cose in modo sbagliato. Io non sono il miglior esempio di comunicazione, ma è un mondo complicato, anche perché tutti al giorno d'oggi possono comunicare. È tutto rumore, c'è poca sostanza. Un po' di onestà intellettuale in più sarebbe importante".

Lasciando ancora sullo sfondo la possibilità di ritirarsi dal calcio che conta, Gasperini non si nasconde e spiega come sia particolarmente complicato che l'Atalanta possa un giorno vincere lo scudetto, come fatto in passato da provinciali di lusso come Cagliari e Hellas Verona: "Io faccio sempre valutazioni tecniche. L'Atalanta viaggiava sui 40-50 punti di media, di colpo ha avuto un'evoluzione e i punti sono diventati più di 70. Per arrivare a vincere lo scudetto ne servono più di 80 probabilmente: non ci siamo ancora riusciti. Per noi, il traguardo possibile era la vittoria della Coppa Italia: l'abbiamo sfiorata due volte. Tutte le altre competizioni sono difficili da vincere perché c'è una grande disparità tra le squadre: le big hanno risorse enormi in tutti i campionati. Le disparità economiche sono notevoli, i profitti maggiori arrivano dai diritti televisivi che però non sono divisi in maniera equa: è difficile competere. In Europa, chi vince perde, perché ha dei bilanci spaventosamente in rosso che vengono coperti da certi presidenti. L'Atalanta non può avere un miliardo di debiti, altre società se lo possono permettere - ha concluso il tecnico nerazzurro -. Noi siamo riusciti a essere competitivi perché i nostri dirigenti sono stati dei fenomeni a realizzare delle cessioni impensabili. Per stare in alto abbiamo bisogno di valorizzare, in modo da poter sostenere il tutto e continuare a prendere giocatori competitivi. Le offerte difficilmente si possono rifiutare. Solitamente chi vince lo scudetto si rinforza, aggiunge valore di continuo. Questo è il motivo per cui sarà difficile per l'Atalanta e tutte le squadre come noi fare come il Leicester anni fa: loro sono stati l'eccezione che ha confermato la regola. Non è vero che non si vince, si vince lo stesso: anche una piccola cosa può diventare una grande vittoria. Altrimenti lo sport diventa per pochi eletti".

Commenti (0)

Disclaimer
Inizia la discussione
0/300 caratteri