Nel 2020 il croato pagò 150.000 euro di penale per liberarsi dall'Hajduk Spalato e andare alla Juve a fare "solo" il vice: più juventino di così...
di Enzo Palladini© ansa
Identità e appartenenza. Due concetti che il mondo juventino non accarezza da tempo, completamente sepolti sotto la scelta di Thiago Motta, eroe del triplete interista. Sentimenti di cui il popolo bianconero è affamato da tempo, se era addirittura arrivato a esultare per la promozione di Montero alla guida della prima squadra nelle ultime due giornate dello scorso campionato. Non era una convinzione tecnica ma una scelta di campo: in quel momento la Juventus passava nelle mani di uno juventino vero, di quelli che avevano lottato e vinto con quella maglia.
Identità e appartenenza sono le due basi da cui riparte Igor Tudor. Con la maglia bianconera ha giocato una consistente percentuale della sua carriera. Si è adattato a tutto: ha accettato la panchina, si è sacrificato nel ruolo per lui innaturale di centrocampista con un’abnegazione che pochi avrebbero dimostrato. Si è fatto male, tanto e spesso, tanto da guadagnarsi il soprannome di “gigante di cristallo”. Si è sempre rialzato, ha segnato 15 reti quasi tutte decisive per la causa bianconera, ha dovuto arrendersi ancora giovanissimo piuttosto che pesare sul bilancio bianconero (o su quello dell’Hajduk Spalato che l’ha accolto per le ultime partite da professionista).
Per la Juve ha accettato anche un ruolo secondario, quello di vice allenatore nella stagione 2020-21 quando la squadra venne affidata a Pirlo. Pochi sanno che per liberarsi dall’Hajduk Spalato e andare a fare il secondo, Tudor pagò di tasca propria una penale di 150.000 al club croato, notevole atto d’amore per i colori bianconeri. All’infinita sapienza tecnica del capo allenatore si affiancava dunque il carattere deciso del gigante croato, che in quella stagione svolse il suo ruolo in maniera decisamente più determinante rispetto alla media dei vice della Serie A. Per la Juve poteva fare anche quello e forse ci sarebbe restato se il club bianconero non avesse deciso la nuova svolta tecnica con l’addio di Pirlo. Forse già in quei mesi sperava di poter essere utile alla Juventus, visto che non accettò le varie offerte che gli arrivavano e solo il 14 settembre, a campionato abbondantemente iniziato, accettò l’offerta del Verona per guidarlo a una salvezza entusiasmante.
Nel recente passato, il nome di Tudor era stato affiancato alla Juventus in vari momenti, più o meno in occasione di tutte le crisi di risultati attraversate dalla squadra bianconera. Quello che ha sempre frenato la chiusura di quelle trattative, probabilmente, è la fama di duro e puro che si porta dietro e che l’ha convinto al gesto delle dimissioni dalla Lazio alla fine della passata stagione, con conseguente perdita di un anno di stipendio. Ma forse è proprio quel tipo di allenatore che la Juve cerca in questo momento. Un grande motivatore, che abbatta il muro di incomunicabilità costruito da Thiago Motta tra sé e i suoi giocatori. E poi uno juventino vero, che abbia un credito da spendere presso la tifoseria, che conosca l’ambiente e che non dica mai “la vittoria non deve essere un’ossessione”. La vittoria per la Juve è un concetto ancora meno astratto rispetto a quelli dell’identità e dell’appartenenza. È il senso stesso della vita. È il motivo per cui la Juventus esiste.