Pioli ha denunciato "presunzione e incapacità a soffrire". Ma col Beer Sheva è solo l'ultimo gradino di una discesa iniziata nel 2010 con continui cambi tecnici
Schalke. Marsiglia. Tottenham. Wolfsburg. Alla lista si aggiunge il meno nobile Hapoel Beer-Sheva. Il muro del pianto nerazzurro in Europa si allunga. È partito nel 2011 e non stenta a crollare, anzi si allunga. Sono cambiati 10 allenatori, una quantità infinita di giocatori. Eppure, presto o tardi durante la stagione, l'Inter non fa altro che raccogliere figuracce e sfottò. L'ultima, in Israele, un mix letale di presunzione, debolezza mentale e voragini tecniche.
Sì. C'è tutto questo nell'abisso in cui è sprofondata l'Inter. Da tempo, non da qualche mese. Non era solo colpa di De Boer, non è colpa di Pioli. Ci chiediamo: è colpa dei giocatori? Bella domanda. Verrebbe da rispondere: sì, per forza. Però poi l'analisi si fa più profonda: da quanto tempo Banega gioca nell'Inter? Da pochi mesi, appunto. Fino allo scorso maggio era un'iradiddio che trascinava il Siviglia alla conquista dell'Europa League. Ora è anonimo. Passiamo a Murillo: arrivato all'Inter sembrava il difensore del futuro. Ora pare la controfigura del peggior Juan Jesus. E ancora: Joao Mario ha vinto un Europeo da protagonista, Brozovic e Perisic in nazionale sono sempre decisivi, Miranda guida la difesa del Brasile con sapienza, esperienza e anche con cattiveria.
Allora la domanda è: cosa succede quando vestono la maglia nerazzurra? Forse il mix con giocatori di minor caratura (vien da pensare ai terzini, ad esempio) può generare tutto questo scompiglio. Non impossibile, ma improbabile. Pioli, che all'Inter sta da qualche settimana, ha lanciato il primo grido di allarme: "Siamo stati presuntuosi. È stata una questione di testa". E poi ha aggiunto la frase classica: "Non è stata una prestazione da Inter". Ha ancora senso questa affermazione? Viene da pensare che no, non ha senso: l'Inter, in questo momento storico, è esattamente questa. Con buona pace di chi ha ancora in testa gli anni dal 2006 al 2010.
Continui cambi a livello tecnico, preparazioni atletiche che ne risentono (tournée con Mancini, precampionato con De Boer di due settimane, Pioli che subentra: l'Inter smette di correre nella ripresa, sempre), gestione sportiva della società affidata quasi in toto al direttore sportivo o alle consulenze di un super-agente esterno. Un presidente con pacchetto di minoranza, probabilmente in uscita, una proprietà che sta in Cina. Nessun uomo forte in società a tenere la barra, a indicare la via, a dare sicurezze.
Certo, poi ci sono le partite. Ci sono gli errori madornali di Murillo, le marcature svogliate di Miranda, c'è tutto questo. Ma c'era anche prima con Mazzarri (forse in minor misura), c'erano con Gasperini, con Stramaccioni, con De Boer e Mancini. Forse più che un mental coach che agisca sulla psiche dei giocatori, in balia di se stessi e di una situazione sempre più delicata, del quale Pioli aveva intenzione di sfruttare i servizi, sarebbe necessario un grande dirigente di personalità e di grande conoscenza calcistica che dica: Inter, torniamo ad essere l'Inter.