Scudetto più lontano, Champions ancora da giocare: la delusione è comprensibile, il disfattismo meno
di Stefano FioreLa terza sconfitta consecutiva, inseriamo anche il derby di coppa, qualcosa di poco frequente negli ultimi tempi per l'Inter (non accadeva da più di due anni, marzo 2023, l'anno della finale di Champions), ha consegnato il destino dello scudetto interamente nelle mani del Napoli mettendo seriamente in pericolo anche il terzo obiettivo stagionale dei nerazzurri, dopo che sia la Supercoppa Italiana che la Coppa Italia sono sfumate. Li definiamo obiettivi proprio perché è stata la stessa Inter, per bocca dei giocatori ma anche di Inzaghi o di Marotta, ad aver ripetuto nel corso dei mesi come ci fosse la volontà di non scegliere, di provare ad arrivare in fondo a ogni competizione: una scelta rischiosa e coraggiosa che, a seconda dell'epilogo, porterà con se elogi o critiche.
Ora che i nerazzurri sembrano un po' come Icaro che, trascurando qualche segnale che nel corso della stagione si è fatto sempre più grande come la stanchezza di alcuni giocatori chiave (Lautaro, Mkhitaryan e Barella su tutti), gli infortuni arrivati (Thuram, Calhanoglu, Dumfries, Dimarco e Carlos Augusto su tutti) anche per le tante partite giocate dai suddetti titolari a causa di alternative che hanno deluso (i vari Frattesi, Zielinski, Asllani, Taremi e Correa ma in parte pure Bisseck), hanno comunque voluto onorare ogni partita concedendosi il rischio di arrivare nel momento clou della stagione a pezzi, sia come energie fisiche che psicologiche, sono già partiti i processi.
Sembra un po' troppo presto, anche solo per mere questioni temporali e di calcolatrice: manca la matematica per decretare perso lo scudetto e soprattutto ci sono ancora da giocare due semifinali di Champions League, partite che l'Inter, negli ultimi 15 anni, ha vissuto solo altre due volte. Poi ci si potrà sedere a un tavolo e analizzare ciò che non è andato, cosa si può migliorare e come intervenire per trovare un equilibrio, in ottica futura, tra il garantire l'allestimento di una squadra che sia competitiva su ogni fronte per formare una mentalità vincente, incassare i giusti introiti provenienti dalle fasi finali delle varie manifestazioni per mantenere bilanci sani e la necessità di abbracciare quel che alla fine rende più felice i tifosi, cioè arricchire la bacheca il più possibile. Detto ciò, è molto complicato prendersela troppo con chi, a fine aprile, è arrivato a giocarsi la possibilità di vincere lo scudetto e arrivare in finale di Champions: se la colpa è non aver vinto nulla, c'è da allenare un pochetto la cultura sportiva e comunque siamo sicuri che, in giro, c'è molto peggio.