Il primo vero momento di difficoltà è un banco di prova per il tecnico nerazzurro
Arriva l'Inverno, per quanto tiepido, e l'Inter va in letargo: da venerdì 6 dicembre a oggi i nerazzurri hanno messo assieme 11 punti in 7 partite, pareggiando con Roma, Fiorentina, Atalanta, Lecce e Cagliari e vincendo solo contro Genoa e Napoli. A parte lo 0-0 con i giallorossi e il successo per 4-0 coi rossoblù liguri, la squadra di Conte ha sempre preso gol, facendosi oltretutto rimontare in tutti e quattro i pareggi per 1-1, reti incassate sempre nel finale di partita. E se il pareggio contro l'Atalanta è stato tutto sommato "gradito" per come è maturato, a Firenze come a Lecce per finire con il Cagliari oggi (ma si potrebbe inserire a ragion veduta anche il match contro la Roma visto il numero delle occasioni fallite) l'Inter ha sprecato tantissimo, incapace di chiudere la partita e poi puntualmente punita. Esattamente come non deve accadere a una squadra con ambizioni di successo.
I dati, questi dati, fotografano così una flessione che oltre a vanificare, se non del tutto almeno in parte, quanto di buono (ottimo, addirittura) fatto fino alle soglie dell'inverno, ha motivazioni piuttosto chiare: finché l'Inter ha spinto senza risparmiarsi sull'acceleratore e ha avuto la forza di tenere sempre al massimo dei giri il suo motore tutto è filato per il meglio, poi le lacune numeriche e tecniche della rosa sommate a una inevitabile flessione fisica hanno presentato il conto.
Un conto amaro, sul quale pesano anche alcune sviste arbitrali (ma non dimentichiamo, dall'altra parte, l'episodio Lautaro-Toloi) ma che poggia dunque soprattutto su ragioni endogene. La squadra è stanca, è nervosa e nervoso è il suo tecnico. Un nervosismo però sterile che anziché fare da volano sta agendo da freno. Conte ha le sue ragioni, questo è certo. Per mesi ha spinto al massimo (lui e i suoi ragazzi) facendo fronte anche a infortuni e assenze pesanti, ha atteso gennaio per vedere la sua rosa integrata e completata dal mercato ma a conti fatti giunto al termine delle sessione invernale (da qui alla gong finale resta solo il match di Coppa Italia contro la Fiorentina) ha potuto inserire il solo Ashley Young. Infortuni (Asamoah, D'Ambrosio, Gagliardini e Brozovic), squalifiche (a turno Skriniar, Barella e Candreva) e questioni di mercato (Politano e Vecino) hanno minato la rosa anche nell'ultimo mese, e l'altro effettivo innesto invernale oltre all'ex esterno dello United, vale a dire Victor Moses, si è aggregato solo da due giorni, troppo pochi per poter entrare a pieno titolo nell'organico.
Presto, è vero, arriveranno Eriksen e una punta (probabilmente Giroud), comunque troppo tardi per recuperare i punti intanto persi. Eppure, proprio lo sbarco del danese (e probabilmente, lo ribadiamo, di Giroud) non può e non deve perdersi nel marasma del nervosismo attuale: la stagione, in fondo è ancora lunga, molto lunga, c'è il campionato, c'è l'Europa League, c'è la Coppa Italia. Questo è il primo vero grande momento di difficoltà dell'Inter contiana e se il tecnico nerazzurro è quel fuoriclasse che tutti noi crediamo sia è allora anche il momento di un suo ulteriore colpo d'ali. Lasciando da parte astratti furori e inutili vittimismi.