Il presidente nerazzurro: "Lottiamo per vincere Champions e campionato"
Beppe Marotta non è per nulla sazio e carica la sua Inter in vista del prosieguo della stagione: "Essere presidente dell'Inter è come toccare il cielo con un dito, veramente - le parole del presidente nerazzurro in occasione della presentazione dell'ultimo libro di Beppe Severgnini al Book City -. Mi porto dentro da sempre la voglia di vincere, mi considero ambizioso perché abbiamo tanto ancora da vincere. Abbiamo qualche sfizio ancora da toglierci: Istanbul insegna".
Marotta ha poi ribadito il concetto: "Una società come l’Inter, per storia, blasone e palmares, per tutta questa attenzione che cerchiamo, non può dire voglio vincere o il campionato o la Champions, ma deve cercare di vincere sempre. Ecco perché io sono sempre molto realista. Sento dire da altri che l’importante è arrivare tra le prime quattro, ma non è così. L'importante è vincere. Poi se non si vince, benissimo, significa che gli avversari sono stati più bravi. Ma l'asticella deve essere sempre alta".
Poi un retroscena sulla rivalità col Milan: "Non sono un istintivo, cerco sempre di razionalizzare e pensare prima di rispondere. L'ho fatto anche qualche giorno fa con Scaroni, quando ho mostrato le due stelle per dire che a Milano c'è una sola squadra con due stelle...".
Il numero uno dell'Inter ha parlato del motivo che lo ha spinto a scegliere Simone Inzaghi per il dopo ContePerché ho scelto Inzaghi quando è andato via Conte? La scelta è adeguata anche al momento. In quel momento pensavo servisse un profilo come quello. In alcuni momenti magari serve più autorevolezza, in altri maggiore capacità di gestione. Cerco di far fruttare la mia esperienza con scelte oculate".
Poi anche delle scelte alla base del mercato: "Se io cerco di prendere un giocatore fortissimo e poi non ci riesco, non è che sono scarso. Probabilmente non c'erano le condizioni, ma io il tentativo devo farlo lo stesso, l'asticella deve essere alta. Noi siamo tacciati di aver preso tanti giocatori svincolati, ma quel tipo di giocatore va corteggiato tanto per prenderlo".
Si è quindi parlato a lungo della questione stadio: "Il sindaco sta lavorando bene, sono molto fiducioso, ci stiamo avvicinando a un epilogo velocemente. Secondo me è normale, parlando di senso di appartenenza, che una squadra abbia uno stadio. Perché è un po' una seconda casa, dove devi vivere e consumare la tua passione che si esplica non solo in partita ma con una vita che deve continuare tutta la settimana. E dove magari spaziare sotto altri punti di vista come quello culturale, immaginate farla allo stadio una serata così. Il calcio è un fenomeno di aggregazione, dopo la religione dicono ci sia il calcio. Secondo me è la burocrazia italiana che rallenta ogni iniziativa e fa sì che gli investitori scappino. È successo in tantissime città: ero a Venezia nel 1997 quando Maurizio Zamparini comprò a Tessera un terreno, sono passati 30 anni ed è ancora lì. Lo stadio andrebbe collocato all'interno del Ministero delle Infrastrutture: serve un investimento di almeno un miliardo, ma è un fenomeno di carattere nazionale per gli effetti che produce. Questo eliminerebbe tanti step inutili. Oggi c'è la volontà di Inter e Milan di costruire uno stadio, le ultime convergenze vanno verso San Siro. L'importante è superare queste difficoltà burocratiche".
Si è infine parlato di un giocatore nerazzurro in particolare, Nicolò Barella: "Il lavoro nostro è quello di far crescere i giocatori non soltanto sotto l'aspetto tecnico. Nella sfera umana c'è anche l'intenzione di capire cosa rappresenta l'arbitro. Noi abbiamo inventato il ruolo del referee manager col quale i calciatori studiano anche l'arbitro. Dopo la designazione andiamo a vedere il designato come arbitra e che tipo di rapporto con i calciatori ha in campo. Barella magari in passato da quel punto di vista peccava, oggi è molto migliorato. Non studiamo solo l'avversario ma anche l'arbitro".