Da Asllani a Bisseck, quando Inzaghi deve pescare dalla panchina non sempre riceve risposte positive
di Stefano FioreL'Inter ha la rosa più forte della Serie A? Sì: al netto di monte ingaggi, costo totale dei cartellini e spese sul mercato, lo ha dimostrato nelle ultime stagioni e, a parte qualche fisiologica voce fuori dal coro, in pochi pensano il contrario. L'Inter ha 22 titolari? Ecco, questo può essere discorso di maggior dibattito. La dimostrazione plastica del ragionamento si è vista ampiamente nel derby di Supercoppa: esce Calhanoglu, entra Asllani che, al netto delle colpe complessive che tanto piace sottolineare agli allenatori per de-responsabilizzare i singoli, è stato sicuramente tra più deludenti e determinanti nel comeback del Milan. E potremmo parlarne anche per Mkhitaryan-Zielinski (anche per parare le prime critiche alle nostre parole: poteva entrare il polacco invece dell'albanese per Calha? Sì ma prima o poi l'ex Empoli avrebbe comunque preso il posto dell'armeno. E che dire di Frattesi che secondo radiomercato vorrebbe partire subito...), per Thuram-Taremi che è vero che ha segnato ma priva la squadra di movimenti, fiammate e profondità che solo il francese - nel discorso inseriamo anche Arnautovic e Correa, ovviamente, non puntiamo il dito solo contro l'iraniano - può dare. E poi la grande prorompenza fisica di Bisseck che spesso si accompagna ad amnesie e letture difensive ancora da affinare, cose in cui Pavard è sopraffino. E che dire della sproporzione nel cambio Dimarco-Carlos Augusto, con la sfortuna - per il brasiliano - di avere di fronte uno dei terzini top in Europa...
Insomma, che dall'Inter si pretenda tanto è logico visto ciò che ha mostrato negli ultimi anni. Che si pretenda tutto, anche no. Inzaghi ha giustamente ricordato come anche al Milan mancassero alcuni elementi (anche se, considerando i 40' abbondanti giocati da Leao, di fatto Conceiçao non ha rinunciato a nessun titolare contro i quattro, Acerbi, Pavard, Thuram e in corsa Calha, dell'Inter) che qui nessuno vuole sminuire la mentalità e la ferocia calcistica con cui i rossoneri sono rimasti aggrappati al risultato per poi ribaltarlo, ma è ovvio che quando bisogna pescare dalla panchina nerazzurra, ci sono elementi nevralgici che abbassano notevolmente qualità del palleggio e mentalità complessiva della squadra, doti fondamentali per mantenere la barra dritta in un momento in cui - Inzaghi dixit - alcuni elementi chiave stanno tirando il fiato per i tanti impegni stagionali.
Nell'analisi della partita e del risultato vanno inserite le tante palle gol sbagliate dall'Inter ma senza dimenticare quelle del Milan; va inserita la lentezza della panchina interista nel capire che l'inerzia del match stava finendo nelle mani dei cugini ma senza dimenticare che tra le alternative (forse anche per scelta dello staff tecnico) non ci sono giocatori che possono cambiare marcia o modificare l'impianto di gioco; va inserita insomma qualcosa che difficilmente tifosi e analisti perdonano all'Inter: la consapevolezza che giocare bene e dominare come accaduto nell'ultima stagione non è da dare per scontata, perché chi parla di rosa all'altezza di mostri sacri come Real Madrid, Barcellona, Manchester City, Liverpool e Bayern Monaco sembra voglia più che altro giocare al giochino del "quando si uscirà dalla Champions potremo criticare l'Inter che, tra le favorite in Europa, ancora una volta non ha ripetuto i fasti del Triplete".
C'è uno squilibrio forte tra titolari e co-titolari nell'Inter? Quando succedono episodi come quelle nella finale di Supercoppa Italiana e nella storia recente nerazzurre le poche sconfitte hanno spesso avuto il retrogusto amaro di quella di ieri (tanti gol sbagliati, amnesie difensive, incapacità di variare il modo di giocare, alternative non all'altezza dei titolari), viene da pensare di sì. Soprattutto se l'undici in campo, per forza o per scelta, è per metà composto dai cosiddetti co-titolari.