Il racconto di chi, al Bernabeu, raccontò in telecronaca la vittoria contro il Bayern e la conquista del Triplete
di Bruno Longhi
Già! Oggi sono dieci anni esatti dall’ultima Champions vinta da un’italiana, l’Inter del “Triplete”, e 10 anni esatti dalla mia ultima telecronaca di una finale di Champions (avrei poi commentato un paio di finali di Europa League). Il tempo, spesso, cancella il grosso di un evento, ma ti lascia in eredità dei particolari indelebili. Di quel 22 maggio ricordo il caos che regnava nella zona del Bernabeu e che rendeva difficoltoso pure il breve tragitto dall’hotel allo stadio. Ricordo il caldo. Il sole che a mezzora dal fischio d’inizio non era ancora calato alle spalle della tribuna opposta alla nostra, quella dei telecronisti, e che quindi ce l’avevo proprio in faccia. Non proprio l’ideale dovendo commentare una partita del genere, anzi: una partitissima del genere.
Un timore poi dissoltosi col passare dei minuti. Ricordo l’ottimismo. Dentro di me. Lo stesso che mi aveva fatto compagnia 14 anni prima in occasione di Juventus-Ajax. Ottimismo che mi arrivava - a prescindere dalla forza straripante di quell’Inter- anche dal fatidico numero 22. Dovete sapere che dovendo preparare una telecronaca, si va anche a spulciare nelle statistiche di ogni genere. Dei giocatori, delle squadre, delle date. E così via. E avevo scoperto che solo due volte, in passato, la finale di Champions era stata giocata il 22 maggio. E sempre un’italiana l’aveva spuntata: il Milan, nel 63 a Wembley contro il Benfica, e la Juventus - come ho ricordato prima- nel '96 all’Olimpico.
E quindi, affidandomi anche alla infantile banalità del “non c’è due senza tre", si rafforzava in me il convincimento che avrei raccontato una partita storica. E così accadde. L’Inter campione dopo 45 anni. Nel nome e nel segno di Milito: maglia 22, 22 gol in campionato, tanto per continuare a dare i numeri. Anzi quel numero. E 2 GOOOL da cineteca, roba da brividi. Gol che trascinano e che ti fanno sentire dentro la partita, come se la stessi giocando. Non so quante volte ho ripetuto il nome del “Principe", in occasione dei due gol. Ma ricordo ancora oggi, come fosse ieri, che le parole mi uscivano a raffica, scandite con ritmo e precisione. Ero io,d’accordo. Ma erano la partita e lo stadio in ebollizione ad amplificare le mie capacità. Poi, la fine, il trionfo. E mentre la voce celebrava il momento in cui Massimo Moratti alzava la coppa al cielo di Madrid, dentro di me provavo una doppia soddisfazione: di essere stato testimone dell’ultimo e decisivo atto del Triplete nerazzurro. E di aver fatto davvero una bella telecronaca. Non è immodestia. E’ la (mia) verità.