I nerazzurri devono riflettere sulle pause di concentrazione che sono costate cinque punti casalinghi
di Andrea CocchiNel tritacarne della critica calcistica si può passare da candidati alla vittoria della Champions a squadra che ripete sempre gli stessi errori, nel giro di soli quattro giorni. E' il pallone, bellezza. E ce lo teniamo così. Dal Benfica al Bologna Inzaghi passa da illustre stratega ad allenatore monotematico, incapace di uscire dai binari del suo inossidabile e immutabile 3-5-2. La realtà, come spesso capita, è un po' più complessa di così, o meglio, la realtà ha molta più fantasia di noi.
Ed è fatta di uomini, di scelte da fare in pochissimi secondi, di attimi che possono far girare una partita. Certo, essere sopra di due gol dopo pochi minuti, sfiorarne un altro, dare l'impressione di essere uno schiacciasassi inarrestabile per poi ritrovarsi con un misero punticino in tasca, fa inevitabilmente nascere qualche dubbio sulla tenuta psicologica di una squadra. Anche perché non è la prima volta che capita (vedere alla voce Sassuolo). Lautaro segna un gol di una bellezza antica e poi procura un rigore evitabilissimo. La difesa, in netta superiorità numerica, si muove senza un minimo di logica sui vari controlli di palla di Zirkzee. Davanti, con Arnautovic rotto, non ci sono alternative, Sanchez a parte, a una coppia che magari avrà anche bisogno di rifiatare. I risultati, spesso, si spiegano molto più facilmente di qualsiasi analisi tattica.
La concentrazione nei momenti clou, per esempio, è un limite mentale che andrà approfondito da Inzaghi, il quale viene spesso criticato, quando non vince ovviamente, per il fatto di non variare il sistema di gioco (a parte quando, ogni tanto, decide di piazzare un trequartista dietro alle due punte, se c'è da dare tutto in un finale di partita). E' un limite? Si direbbe di no se si analizza il cammino di una squadra che è arrivata in finale di Champions e che fa delle certezze collettive il suo punto di forza. I cambi di campo (da quinto a quinto come si dice in gergo), le giocate verticali in velocità quando recupera palla, la fluidità nell'impostazione, gli inserimenti delle mezze ali, tutto il corollario, insomma, del playbook inzaghiano, esaltato quando arrivano i tre punti.
Certo, a volte basta un allenatore avversario che metta un po' di sabbia negli ingranaggi per limitare la manovra nerazzurra, ma tante volte l'Inter ha saputo lo stesso, grazie alle conoscenze e alla superiorità di una rosa di altissimo livello, vincere tante partite complicate. Onore comunque a Thiago Motta, che ha ridotto le giocate avversarie piazzando tre centrocampisti in marcatura sui dirimpettai nerazzurri, per poi insistere nella propria interpretazione di calcio, fatta di fraseggi palla a terra. Un'interpretazione che già aveva messo in difficoltà l'Inter contro il Sassuolo. Ma, a volere essere onesti, non staremmo a soffermarci su questo se i difensori nerazzurri non si fossero fatti beffare in quel modo da Zirkzee. Inzaghi ha trovato le sue linee di gioco ed è giusto che continui a lavorarci senza stravolgimenti. Più complesso intervenire sulla testa dei giocatori per farli restare concentrati in tutte le fasi della partita. Anche perché, come Bologna 2022 insegna, gli scudetti si perdono soprattutto così...