L'azzurro non ha fatto rimpiangere Chiesa, lo statunitense si è sacrificato molto per aiutare Gatti su Leao: così il tecnico si è preso la scena a San Siro
Mai come in questa occasione, Moise ha aperto le acque e dettato legge. Dentro una partita inscatolata nel nulla cosmico o giù di lì, a Kean, riserva di lusso, è bastato uno scatto in profondità con annessa finta per spezzare l'equilibrio e indirizzare match e tre punti verso la sua Juve rilanciandone ambizioni scudetto che Max Allegri continua a tenere debitamente nascoste. La vittoria di San Siro, dopo sei faccia a faccia senza successo, non sono soltanto tre punti fondamentali per la classifica e un enorme scampato pericolo - i bianconeri, in caso di sconfitta, sarebbero finiti a -7 dalla prima e a -6 dalla seconda, ndr -, ma anche il modo migliore per immaginarsi ambiziosi, capaci di lottare ad armi pari con le migliori e, di conseguenza, di rompere le scatole a quelle tre (Milan, Inter e Napoli, che Allegri considera più forti) fino al termine della stagione. Diciamo le cose come stanno: la Juve, pur senza far stropicciare gli occhi, ha vinto con merito, perché anche costruirsi un undici contro dieci è stato un pregio cercato e ottenuto.
Contro un Milan senza spinta e cambio passo per le assenze di Theo Hernandez e Loftus-Cheek, Allegri non ha cambiato di una virgola il suo canovaccio: ha aspettato basso e cercato le ripartenze negli spazi. Spazi dove ha trovato, appunto, gli uno contro uno che si sono poi rivelati decisivi. L'azione da cui nasce l'espulsione, poi decisiva, di Thiaw non è casuale, perché già in precedenza i bianconeri avevano con insistenza inseguito le verticalizzazioni alle spalle dei difensori e si erano resi pericolosi in un paio di occasioni pur senza impensierire Mirante. Il fatto di aver pescato il jolly con Kean e Thiaw altro non è, quindi, in questo senso, che la conseguenza di una scelta precisa. La solita: chiudere gli spazi evitandosi problemi dalle parti di Szczesny - che in effetti aveva fatto una sola parata in 40 minuti - con la consapevolezza che, prima o dopo, qualcosa là davanti sarebbe successo.
Spostare l'asticella dalla zona Champions - obiettivo dichiarato - e la lotta scudetto è un esercizio spericolato che Allegri non ha fatto e non farà. Sa bene che con l'andare della stagione le coppe peseranno sulle avversarie ma anche che rimanere attaccati per poi approfittarne non sarà semplice. Però, questo sì, con la dovuta umiltà la sua Juve affronta qualunque avversario a testa alta, con le armi che ha a disposizione e la certezza di avere, almeno in attacco, alternative che hanno senso e forza. Senza Chiesa e Vlahovic si poteva pensare a una Juve inefficace negli ultimi 30 metri, invece Allegri ha vinto la partita proprio sull'asse Milik-Kean, con il primo che accorciava e il secondo che gli scappava alle spalle. Il resto lo ha fatto la solita, solida, difesa, cui il tecnico ha aggiunto il sacrificio di Weah a destra per arginare, almeno sul piano della velocità, Leao, pericolo numero uno annunciato.
In questo senso lo statunitense figlio d'arte è stato un po' la sorpresa della partita. Acquistato per scardinare le difese avversarie, ha finito per puntellare la sua, con il risultato di aver restituito a McKennie il suo ruolo di mezzala e, quindi, permesso ad Allegri di colmare la lacuna che la squalifica di Fagioli, unita a quella di Pogba, aveva aperto in mezzo al campo. La scelta verrà riproposta? Lo scopriremo, ma intanto Gatti ha potuto sentirsi meno solo e non è stato esattamente un dettaglio. Le alternative dello scudetto sono tutte qui: da una parte i bianconeri, alternativa, appunto, a Inter, Milan e Napoli. Dall'altra qualche cambio all'altezza nei ruoli decisivi. Se basterà per essere competitivi fino al traguardo lo vedremo. Intanto c'era da fermare la striscia negativa contro il Milan negli scontri diretti e, pare evidente, la missione è stata brillantemente compiuta.