L'ex centrocampista bianconero è tornato a parlare delle difficoltà degli ultimi anni di carriera
La squalifica per doping dell'estate 2023, i problemi fisici, i cali impressionanti della seconda parte della sua carriera. Paul Pogba ha vissuto due vite calcistiche. La prima, da giovanissimo, lo ha lanciato nell'Olimpo del calcio fino ad arrivare alla conquista del Mondiale del 2018 da protagonista. La seconda lo ha bloccato sul più bello. Di questo ha parlato al magazine GQ France, confessandosi senza reticenze.
"Prima di tutto, non vedo l'ora di giocare. E' passato così tanto tempo da quando ho giocato a calcio. Non avrei mai immaginato di ritrovarmi libero in questo periodo della stagione. Non ho mai vissuto un trasferimento del genere. Oggi ci sono proposte. Arrivano da ogni dove. Voglio vedere cosa mi si addice di più. Perché sono in un periodo cruciale della mia vita e della mia carriera. È una decisione che prenderò il tempo di soppesare. Queste prove mi hanno dato una determinazione in più. Mi sento come un bambino che vuole diventare un professionista. Sono tornato a essere il piccolo Paul Pogba di Roissy-en-Brie, che lascerà il segno".
Il centrocampista francese ha poi parlato della Juventus: "Quando sono arrivato in Italia, mi chiamavano Balotelli. Avevo già il mohawk, le tinte, i balli celebrativi, ma anche i movimenti tecnici e tutto ciò che ne consegue. È la mia personalità, ho imparato il calcio così, per strada. In quella squadra, c'era spazio per esprimermi in modo diverso. La squalifica? Se ci avessi messo quattro anni, avrei smesso di giocare a calcio. Non volevo dirlo pubblicamente, ma è quello che pensavo. Non ho capito. Perché? Mi hanno dato la pena massima, il che significa che non avevano davvero ascoltato nulla di quello che avevo detto loro. Prendevo la palla e giocavo da solo fuori. Mi arrangiavo con quello che avevo. Ma non volevo restare a Torino. La mattina portavo i miei figli a scuola, ed era proprio accanto al campo di allenamento, che sofferenza".
La prima esperienza alla Juventus, comunque è stata positiva, al contrario del ritorno a Manchester: "Sono caduto in depressione senza nemmeno rendermene conto. Perché nessuno ci insegna cosa sia la depressione. Finché non ho iniziato ad avere buchi nel cuoio capelluto. Non capivo cosa fosse. Mi hanno detto che era stress".
A tutto questo va aggiunto il tentativo di estorsione del quale è stato vittima in Francia da parte di una banda della quale faceva parte anche il fratello Mathias: "Ho nascosto tutto di questa estorsione. Mia moglie non lo sapeva, e nemmeno i miei figli. Quando tornavo a casa dall'allenamento, dovevo recitare la parte del padre e del marito. Tenevo tutto per me. Alla fine, mi ha logorato dentro. In quel periodo ho fatto tutto il possibile per restare concentrato sul calcio, ma è diventato troppo difficile. Avevo così tante preoccupazioni che ho smesso di giocare. Eppure ci ho provato. Sapevo che era l'unico modo per farmi dimenticare questi problemi. Ma in realtà, cosa rappresenta il calcio? Due ore al giorno? Solo due ore al giorno per divertirmi. Ogni volta che finiva, cercavo di gironzolare nello spogliatoio, di stare con i miei compagni di squadra. Ma alla fine, devi tornare a casa. Mi chiedevo quando sarebbe finito tutto. Ha avuto un impatto sul mio corpo. Ecco perché non potevo tornare indietro".