Tra processi e campo, per i bianconeri si prospetta una lunga e difficile rifondazione
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Su una cosa Allegri ha ragione: la tribolata, deludente, paradossale stagione della Juve si è chiusa dieci giorni fa a Siviglia. Nella serata in cui l'ultimo grande obiettivo stagionale è svanito, la finale di Europa League, lì è calato definitivamente il sipario. Sui titoli di coda sono arrivate poi le ultime bordate: la definitiva penalizzazione di dieci punti, il crollo di Empoli, il ko con il Milan. ANche dopo il pronunciamento della Corte di Appello Federale, sul campo tutto era ancora in effetti possibile, nonostante tutto la Juve era teoricamente ancora padrona del proprio destino ma la squadra, o quel che rimaneva di essa, ha alzato bandiera bianca. Sbaglia però Allegri nella sua analisi priva di autocritica, nel suo scaricare sempre altrove le responsabilità, disconoscendo così nel suo tentativo di difesa anche il valore intrinseco di una rosa che a differenza di quanto dichiarato anche ieri sera era stata in realtà costruita per essere altamente competitiva.
Al netto dei futuri ulteriori sviluppi processuali - il caso stipendi e ancora i possibili/probabili pronunciamenti Uefa - la traversata nel deserto appare oggi alquanto lunga e dolorosa. Sul fronte squadra ci sono molti interrogativi e alcune pesanti certezze. Tra queste gli addii di Di Maria e Rabiot e il non riscatto di Paredes, ad esempio. Ma si profilano altre necessarie rinunce: senza la Champions e con un programma rivisto al ribasso, il sacrificio di uno tra Vlahovic e Chiesa appare probabile. Resta poi da definire il futuro di Milik, con quello di Pogba che è un grosso punto di domanda. Senza scordare i possibili rientri alla base dei tanti prestiti, ulteriore carico su un bilancio da rivedere completamente. Come poi Allegri possa rimanere per guidare questa lunga transizione pare oggi un mistero. Il contratto e la mutua riconoscenza con la proprietà sono fattori importanti, non ci sono dubbi, ma non sufficienti e soprattutto ora come ora non capaci di ricucire un rapporto con l'ambiente che si è deteriorato. Insomma, la situazione sembra essere definitivamente sfuggita di mano al tecnico livornese. Sia che arrivi o che non arrivi da Napoli un dirigente esperto e capace come Giuntoli, la panchina bianconera è destinata a cambiare proprietario: non ci sono uomini per tutte le stagioni e Allegri non lo è per questa. Il nome più quotato in questo momento è quello di Tudor. Non il solo, ma quello in cima alla lista. Adesso mancano gli ultimi 90 minuti a Udine, poi toccherà a John Elkann salvare la Juve. Anche il suo onore.