24 maggio 1989, doppiette di Gullit e Van Basten per un trionfo che ha riscritto la storia
di Enzo PalladiniPrendendo pretenziosamente in prestito una locuzione che caratterizza la storia del mondo, esiste un calcio italiano “avanti Sacchi” in contrapposizione a un calcio mondiale “dopo Sacchi”. La linea di demarcazione per molti è proprio questa: 24 maggio 1989, Milan-Steaua 4-0. Una lezione di gioco e di atteggiamento, un inno alla bellezza e a quella modernità che dalle nostre parti sembrava non arrivare mai.
Sulle Ramblas non si ascolta una parola di spagnolo nemmeno a pagamento. Gli indigeni, si sa, fanno volentieri a meno di questo idioma imposto, preferendogli la lingua madre catalana. Gli altri sono tutti italiani, se mai qualcuno prova qualche accenno di spagnolo maccheronico aggiungendo l’immancabile esse finale. Siamo in una Barcellona che si sta rifacendo il trucco per l’Olimpiade del 1992, da bella vuole diventare bellissima (e ci riuscirà), ma in questo 24 maggio 1989 sembra di essere una Milano con il mare. È così da due giorni almeno, le prime avanguardie si sono viste la domenica, poi dal lunedì è stato un lungo serpentone di auto, pullman, voli charter. Una vera e propria invasione rossonera che il mercoledì, giorno della partita, inonda i luoghi di aggregazione trovandosi come se fosse a casa propria, anche grazie al tabloid locale “Sport” che prepara un’edizione speciale in lingua italiana per accogliere degnamente i graditi ospiti.
In quanto alla lingua romena, la troviamo solo confinata nel ritiro blindatissimo della Steaua, arrivata il lunedì con un capodelegazione sui generis, Valentin Caeusescu, figlio del dittatore e tifoso numero uno della squadra rossoblù. Lingua romena utilizzata solo a uso interno, perché con il resto del mondo le parole si misurano con il bilancino. I quattro inviati italiani che hanno trascorso i giorni della vigilia a Bucarest non hanno potuto vedere un secondo di allenamento. Sono stati ricevuti un’ora dal colonnello Gatu, presidente della sezione calcio, che li ha intrattenuti raccontando le ambizioni del club, concedendo poi anche qualche giocatore per veloci interviste in uno stanzone lugubre del centro sportivo militare dove si allena la squadra. Tutto sotto stretta sorveglianza, con un funzionario sempre alle calcagna, anche nella hall dell’hotel Intercontinental. Sono gli ultimi mesi del comunismo e per le strade della capitale romena tutto questo si respira.
Però non è affatto male, questa Steaua. Sa come si vince una finale perché lo ha fatto 3 anni prima battendo ai rigori il Barcellona al “Sanchez Pizjuan” di Siviglia. Rispetto a tre anni prima ha perso un vecchio fuoriclasse come Boloni, ma ne ha aggiunto uno fresco fresco e in pieno decollo come Gheorghe Hagi. Il posto del mitico allenatore Emerich Jenei è stato preso da un allievo, nemmeno quello prediletto, come Anghel Iordanescu, che a Siviglia è entrato in campo per giocare l’ultimo quarto d’ora dei tempi regolamentari e i supplementari. Non c’è più il leader difensivo Belodedici, sospeso per un anno dopo avere occultato il suo status di professionista, ma già deciso a togliersi la “i” finale per passare alla Stella Rossa di Belgrado. In semifinale, i romeni hanno asfaltato il Galatasaray con un secco 4-0 in casa amministrato con l’1-1 del ritorno. In casa il loro cammino è stato devastante: 5-1 allo Sparta Praga, 3-0 allo Spartak Mosca, 5-1 al Goteborg: 17 gol segnati in quattro partite davanti alla propria gente. Ma proprio qui è il punto. A Barcellona, la Steaua arriva senza un tifoso al seguito. Ultimi rigurgiti di comunismo durissimo, proibizione pressoché totale di uscire dal Paese. I dirigenti romeni ricevono la loro percentuale di biglietti e non sanno come gestirli. L’idea geniale viene a Franco Dal Cin, ex direttore generale di Udinese e Inter, l’uomo che portò Zico in Italia. Sfruttando i buoni rapporti con la classe politica locale, Dal Cin fa un blitz a Bucarest una settimana prima della finale, acquista tutti i biglietti a disposizione dei romeni e li rivende attraverso i circuiti tradizionali, agenzie di viaggio soprattutto. Grazie a questo colpo di genio (ovviamente retribuito nel modo giusto), il Camp Nou in questo 24 maggio 1989 è una macchia rossonera, 90.000 spettatori tutti pronti ad applaudire il terzo trionfo di un club destinato poi a scrivere la storia del calcio europeo e Mondiale.
Se il cammino della Steaua impressiona, quello del Milan è passato attraverso momenti di grande tensione, come la famosa notte della nebbia di Belgrado e la complicatissima qualificazione nei quarti contro il Werder Brema del sergentone Otto Rehhagel. Però la semifinale contro il Real Madrid è stata la prima grande Epifania del calcio sacchiano. Da oltre trent’anni lo stesso Sacchi individua la partita perfetta nell’1-1 del Santiago Bernabeu, alla faccia del “miedo escenico”, mentre tutti i tifosi godono ancora oggi nel ricordo del 5-0 con cui i Blancos vennero spazzati via nel ritorno. Però resta sempre quell’incognita: è una finale. Partita secca. L’ultima finale di Coppa dei Campioni del Milan risale a 20 anni prima contro l’Ajax. Quelli là, i romeni, la finale di Coppa l’hanno giocata e vinta tre anni prima, contro tutto e contro tutti, perché anche a Siviglia, naturalmente, lo stadio era tutto per gli altri.
La storia di come si arriva a questa partita è decisamente più densa di significato della partita in sé stessa. Merito di Arrigo Sacchi e del suo Milan perfetto, che da settimane lavora esclusivamente per preparare questa partita, totalmente refrattario alle critiche per un cammino in campionato che solo quattro giorni prima ha mandato in scena uno squallidissimo 0-0 a San Siro contro il Cesena. Nella testa del condottiero solo una mèta: la Coppa. Dal primo secondo è tutto chiaro. In campo c’è solo il Milan, gli avversari stanno a guardare e si fanno il segno della croce ogni volta che riescono a mettere in fila tre passaggi consecutivi. Non succede quasi mai. L’aggressione sul portatore di palla è costante e spietata. Nemmeno l’esperienza del capitano Tudorel Stoica (che sta per trasferirsi in Francia insieme al centravanti Piturca) riesce a riorganizzare una reazione degna di tale nome. Ancelotti e Rijkaard in mezzo al campo sono due furie, ai loro lati Colombo e Donadoni danno il loro contributo, Colombo più in quantità e Donadoni più in qualità. Ma sempre puntuale al millesimo di secondo. Naufragano tutti, i romeni. Il difensore centrale Bumbescu, che fratturava caviglie anche in amichevole, vede il suo diretto avversario Van Basten solo con il binocolo. Lacatus, attaccante estroso e normalmente difficile da marcare, prende capocciate senza costrutto contro Maldini e Costacurta. E poi c’è Hagi, etichettato precocemente come “il Maradona dei Carpazi”. Non la becca mai, non trova mezza giocata, compare per la prima volta nei radar all’inizio del secondo tempo quando rincorre un avversario per andare a commettere – almeno quello – il classico fallo di frustrazione.
La Steaua cammina e prova a incanalare la partita sui suoi ritmi. Beata illusione. Dopo un quarto d’ora di gioco Gullit colpisce il palo, a soli tre minuti di distanza Van Basten regala allo stesso Gullit un assist perfetto: il Tulipano Nero colpisce ed è 1-0. La linea difensiva della Steaua non ha speranze contro quei due: Gullit e Van Basten hanno tutto doppio. Corrono, saltano, hanno un bagaglio tecnico infinito. Bumbescu e Iovan sono lenti, macchinosi, involuti e non vengono certo coadiuvati da Ungureanu e da un giovane Petrescu sulle fasce. Il gol di Gullit sgretola completamente le poche certezze che Iordanescu ha messo in campo per i suoi giocatori. È un monologo assoluto e a una inesorabile distanza di 10 minuti l’uno dall’altro, arrivano il 2-0 di Van Basten di testa e il 3-0 ancora di Gullit su assist di Donadoni. La partita è già finita quando le due squadre rientrano negli spogliatoi. È chiaro che nemmeno un genio del calcio potrebbe provare a ribaltare una situazione del genere. Qualcuno pensa a una possibile reazione di qualche stellina emergente, almeno qualche giocata di Hagi che ha bisogno di mettersi in mostra in vista di un’apertura più ampia della frontiere. Zero assoluto. Il Milan la chiude alla svelta, un minuto del secondo tempo, assist di Rijkaard per Van Basten, 4-0 e un tempo da giocare in assoluto controllo. Fischio finale e trionfo rossonero, vent’anni dopo la vittoria di Madrid contro l’Ajax. Il Milan con questo 4-0 eguaglia un record, quello della vittoria più netta in una finale di Coppa dei Campioni.
Un trionfo raccontato da tutti con grande enfasi, ma fu il quotidiano francese “L’Equipe” ad andare oltre il presente guardando oltre: “Dopo aver visto questo Milan, il calcio non sarà più lo stesso”. Così è stato. Sacchi ha cambiato tutto, ha prodotto una rivoluzione totale in Italia dove eravamo fermi alle marcature a uomo e al libero che giocava staccato dai marcatori, ma anche nel resto del mondo, dove ha influenzato e ispirato le due successive generazioni di allenatori. Merito di Arrigo e del presidente Silvio Berlusconi, che ha creduto in lui e l’ha difeso anche nei momenti più complicati, assecondando un nuovo modo di pensare il gioco e il rapporto con i giocatori. Il 24 maggio 1989 è la data in cui il Milan ha vinto la sua terza Coppa dei Campioni, ma non solo questo. Il 24 maggio è un po’ il Natale del calcio moderno. Se l’ha scritto L’Equipe possiamo fidarci.