Col Feyenoord un ottimo primo tempo (anche se poco concreto) reso inutile dalla follia di Theo. Leao non emerge nel momento del bisogno e nel finale sono mancati cuore e furore che avevano ispirato altre rimonte
di Giulia Bassi© ansa
Per 45 minuti era stato anche uno dei Milan migliori della stagione. Per intensità, aggressività, copertura del campo, fraseggio, tocchi di qualità. Poi, come uno squarcio su una tela, come un temporale nel bel mezzo di un pomeriggio di sole, è arrivata l'espulsione di Theo che ha fatto crollare quello che, a questo punto, era forse un castello di carte. Il Milan, nell'1-1 contro il Feyenoord costato l'eliminazione dalla Champions, ha mostrato prima sprazzi di qualità con i suoi Fab4 tutti in campo da titolari, poi le follie dei suoi campioni (Hernandez) e infine l'incompiutezza di altri (Leao). E una partita di cui aveva totalmente il controllo si è trasformata in tracollo.
Conceiçao ha deciso di giocarsi il tutto per tutto fin dall'inizio, all'inseguimento di una rimonta europea che ai rossoneri manca dal 2007 e da una magica notte contro il Manchester United che portò poi ad alzare la coppa ad Atene: era il 2 maggio di quasi 18 anni fa quando a San Siro Seedorf, Kakà e Gilardino firmarono una gara epica, un 3-0 che proiettò la squadra guidata da Ancelotti nel firmamento delle leggende milaniste. A Pulisic, Leao, Joao Felix e Gimenez nessuno si sognava di chiedere nulla di simile, sarebbe bastato molto meno per domare un Feyenoord quinto nel campionato olandese, privo di 10 giocatori infortunati, fresco di nuovo allenatore e con centravanti simbolo venduto, proprio al Milan. Conceiçao, si diceva, ha deciso di ribaltare l'1-0 di Rotterdam puntando sui Fab4, che all'andata non avevano brillato ma la cui qualità è stata considerata imprescindibile in una notte da dentro o fuori.
E il Milan ha inizialmente ripagato le scelte del suo tecnico. I primi 45 minuti sono stati buoni, molto buoni: partita sbloccata dopo meno di un minuto, pressing alto, feroce riconquista della palla, attenzione a non concedere campo agli avversari. Il tutto con un giropalla che ogni volta che coinvolgeva Pulisic dava la sensazione di poter sfociare in qualcosa di pericoloso. Leao era partito con giocate e spunti che ne lasciavano presagire una serata da copertina, Gimenez, subito in gol, ha mostrato le sue movenze da punta vera ma anche la sensibilità del trequartista (con un tocco delizioso per Joao Felix non concretizzato dal portoghese). Lo stesso Joao Felix ha cercato il tiro, la giocata, è apparso nel vivo del gioco. Reijnders con al fianco Musah (preferito a Fofana) non ha dovuto fare straordinari nel mezzo ma si è limitato all'ordinaria (e ordinata) amministrazione.
Se c'è qualcosa da rimproverare al Milan del primo tempo è semmai la poca concretezza dopo il vantaggio iniziale: è mancato quasi sempre l'ultimo tocco, il cinismo, il 2-0 che avrebbe messo all'angolo un Feyenoord barcollante. Ma la sensazione che aleggiava su San Siro era di un gol in arrivo, di una rimonta che era solo questione di tempo completare. Perché la qualità dei tocchi dei Fab4 offriva una sensazione di pericolosità costante destinata a sfociare in rete, di una superiorità tecnica impossibile da contenere per gli olandesi.
E anche nella ripresa il Milan è partito forte, col piglio di chi la vuole risolvere. Uno-due Leao-Theo: palla messa fuori con affanno da tedeschi. Uno-due Gimenez-Theo: francese a terra senza essere stato toccato da Read e secondo giallo. Milan in 10 e giù sipario alla Scala del calcio. Perché una volta rimasti in inferiorità numerica, i rossoneri non hanno più saputo interpretare la partita: si sono abbassati, come inevitabile, hanno concesso campo al Feyenoord, divenuto padrone del gioco, e hanno provato a cambiare pelle e modulo in modo discutibile.
Conceiçao ha ridisegnato un 4-4-1 in cui ha sacrificato prima Pulisic poi Gimenez (i due migliori fino a quel momento) e in attacco ha lasciato un Joao Felix in fase calante lasciando a sedere in panchina Abraham. Nemmeno la scelta di Bartesaghi come rinforzo in difesa ha pagato, visto che è stato lui a perdersi Carranza sul gol dell'1-1 costato la qualificazione.
E in generale il Milan è rimasto fermo all'espulsione di Theo, dopo la quale non ha praticamente più prodotto nulla. Nemmeno il solito forcing finale a cui ci ha abituato Conceiçao: nessuna traccia di quel cuore e quel furore che avevano, ad esempio, portato a rimontare l'Inter in finale di Supercoppa o il Parma in pieno recupero in campionato. Nemmeno giocando sui nervi e sulla voglia di reagire i rossoneri hanno ripreso per i capelli una gara che fino al 51' era saldamente nelle loro mani. Nel momento di difficoltà, senza Gimenez e Pulisic che sono quelli con la potenziale giocata, è rimasto il solo Leao con la capacità di inventare: un dribbling, un cross, un tiro. Ma nulla. Il portoghese, a parte le belle sgommate del primo tempo e qualche numero da freestyle, non ha preso per mano i suoi, non ha inventato, non si è caricato la squadra sulle spalle. Non ci ha nemmeno provato.
Alla fine dunque il Milan paga sì l'ingenuità imperdonabile e incomprensibile di un giocatore, ma si mostra anche incapace di reagire e cambiare marcia, dopo aver già sbagliato tanto, se non tutto, nella gara di andata. E in Champions non te lo puoi permettere. Per questo quella epica del 2 maggio 2007 contro i Red Devils resta l'ultima rimonta completata dal Milan in Europa dopo aver perso la gara di andata: da allora 6 eliminazioni (contro Manchester United, Tottenham, Alteltico Madrid, Arsenal in Europa League, Inter e ora Feyenoord). Ma stavolta per cambiare la storia sarebbe bastato molto meno della squadra che poi, in quel 2007, divenne campione d'Europa. Sarebbe bastato poco e forse la pochezza del Milan di Conceiçao, dopo aver illuso tutti per 45 minuti, sta proprio qui. Come la differenza tra i campioni che hanno fatto la storia e quelli che oggi mancano l'ultimo step, il salto di qualità definitivo, per questione anche di testa, di mentalità, di lucidità e personalità che in Champions significano tanto, se non tutto.