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L'INTERVISTA

Milan, Gimenez si racconta:  "Kakà il mio modello, ecco perché mi chiamano Bebote"

L'attaccante messicano ai canali ufficiali del club rossonero: "Fin da bambino ho sempre seguito il Milan, ho questa opportunità e non voglio lasciarmela sfuggire"

07 Feb 2025 - 19:05

Santiago Gimenez, primo messicano della storia del Milan, ha rilasciato una lunga intervista ai canali ufficiali del club rossonero per presentarsi ai tifosi e raccontare tutte le tappe che dal Feyenoord l'hanno portato a Milano nell'ultimo mercato invernale: "Tutto è andato esattamente come volevo - ha spiegato il nuovo numero 7 del Diavolo - da bambino vedevo giocare Kakà, Beckham, Ronaldinho, Ronaldo, Pirlo, Gattuso... Ho incontrato anche Kakà, che è un modello per me non solo per il calcio, ma anche perché condividiamo la stessa fede. Da quel momento ho capito che il Milan era la destinazione giusta per me". Gimenez ha parlato anche del suo rapporto con il gol ("L'unico modo per restituire ai tifosi la gioia che ti danno") e svelato da dove viene il soprannome Bebote: "Colpa di un amico di mio padre...". Di seguito l'intervista completa.

Sulla sua infanzia: "L'Argentina è un paese che amo dove vive tutta la mia famiglia, è dove ho trascorso i primi quattro anni della mia vita. Poi mio padre, che era un calciatore, per lavoro, ha dovuto trasferirsi in Messico e così io da bambino sono andato con lui in Messico. E lì ho trascorso tutta la mia infanzia. Senza dubbio l'Argentina è un paese dove mi sento a casa proprio come il Messico. Se dovesse scegliere, ovviamente, mi sento più messicano semplicemente perchè ho vissuto tutta la mia vita in Messico, ma anche l'Argentina la porto nel cuore".

Sulla sua carriera: "Sono sempre stato un grande appassionato di calcio fin da bambino e ho sempre amato guardarlo. Sono cresciuto in un'epoca in cui la Serie A era il campionato migliore, e questo ha fatto sì che seguissi la Serie A". 

Sul Milan: "Se è vero che è sempre stato il mio sogno? Tutto è andato esattamente come volevo". 

Sull'arrivo al Milan: "Fin da bambino ho sempre seguito il Milan, è una delle squadre di cui era innamorato quando ero piccolo. Vedevo giocare Kakà, Beckham, Ronaldinho, Ronaldo, Pirlo, Gattuso... Praticamente tutto quel gruppo di giocatori che ha incantato il mondo. E fin da bambino è sempre stato il mio sogno. Quando mi hanno chiamato mi sono detto: wow ho questa opportunità e non voglio lasciarmela sfuggire".

Sulla foto da bambino con la maglia del Milan e su quella con Kakà: "E' una delle tante foto che ho da bambino con la maglia del Milan. Ho incontrato anche Kakà. che è un modello per me, non solo per il calcio, ma anche perchè condividiamo la stessa fede. E mi ha sempre motivato, mi ha parlato di fede e mi ha sempre ispirato. Da quel momento ho capito che il Milan era la destinazione giusta per me".

Su cosa significa per lui fare gol: "Ha un significato che va oltre il calcio. Forse qualcuno potrebbe dire che insisto tropo sulla fede, ma ringraziare Dio in ginocchio davanti a tutto lo stadio e davanti a milioni di telecamere è il modo migliore per dargli gloria e anche per essere un esempio di come con Dio tutto è possibile. Per un attaccante, poi, segnare è tutto. Gli attaccanti vivono per il gol e l'unico modo per restituire quella felicità ai tifosi, per ricambiare la gioia che ti danno, è segnare tanti gol e farli esultare molte volte". 

Sull'essere il primo messicano del Milan: "E' un onore. Solo il fatto di essere qui al Milan, a prescindere dalla nazionalità, è un onore e voglio rappresentare al meglio questi colori". 

Sul Mondiale del prossimo anno in Messico: "Per me non c'è orgoglio più grande che rappresentare la nazionale, il proprio paese, quindi giocare un Mondiale in casa è un privilegio. Ma alla fine ogni giocatore cresce giocando nel proprio club. Quindi ora penso a dare tutto nel Milan per arrivare in grande forma al Mondiale, ma anche per portare tanto gioia qui".  

Sul suo legame con l'Italia: "Il mio bisnonno è nato qui in Italia, è italiano e grazie a lui ho potuto ottenere il passaporto italiano. Anche per questo mi vergogno un po' a non sapere l'italiano, ma prenderò lezioni e imparerò velocemente. Per ora lo capisco un po' perchè è simile allo spagnolo, ora prenderò lezioni per parlarlo". 

Sulla fede: "Per me è tutto. In un momento in cui non trovato la mia strada, ho incontrato Gesù Cristo e lui mi h mostrato la mia via. Questo è molto importante per me. Credo che con Dio tutto sia possibile. Ho iniziato questo cammino quando ho avuto una trombosi al braccio, e i medici mi dissero che dovevo smettere di giocare a calcio, è stato in quel momento che ho conosciuto Cristo e lui fece il miracolo, così sono tornato a giocare". 

Sul numero 7: "Il 29 è il numero con cui ho esordito e poi lo avevo anche al Feyenoord. Il 29 è speciale, ma anche l'11 che indosso in nazionale. C'era libero il 7, ho provato a trovargli un significato e ce n'è uno molto importante: è il numero perfetto nella Bibbia". 

Sulla sua felicità: "Quando sono con la mia famiglia penso che sia il momento di massima felicità perchè sono un uomo di famiglia e mi dà tanto amore e felicità, così come i momenti che passo da solo con Dio. Sono i momenti più felici". 

Sulla sua famiglia: "Se mi piacerebbe avere un figlio? Sì molto. Stiamo aspettando un po' perchè vogliamo viaggiare ancora un po', goderci un po' a vita e poi assumerci questa responsabilità".

Sulla pressione: "A questo livello si gioca sotto molta pressione per la passione dei tifosi. A secondo di come va la squadra, i tifosi passano una buona o cattiva settimana e da lì nasce la pressione. Credo che la pressione si gestisca dando tutto in campo. Uscire dal campo e dire di aver dato il massimo. Nel calcio di vince e si perde, ma se lasci il campo sapendo di aver dato tutto puoi stare tranquillo e gestire la pressione". 

Sui tifosi in Italia: "Ho avuto la possibilità di giocare contro la Lazio e la Roma e l'atmosfera è molto intensa, ma il derby Milan-Inter è pazzesco, è incredibile. Il modo in cui vivono il calcio e tifano per tutta la partita è incredibile". 

Sul miglior consiglio ricevuto: "Ricordo quando mi dissero che avei dovuto smettere di giocare, mi chiusi in una stanza e chiesi a mio padre perchè stesse succedendo a me. Lui mi rispose che non la sapeva, che avrei dovuto chiederlo a Dio. E con quel consiglio la mia vita cambiò completamente. Inizio il mio cammino con Dio e con la fede".

Sulla sfida contro il Feyenoord in Champions: "Ci sono state tante emozioni dopo il sorteggio. Volevo che ci fosse Milan-Feyenoord perchè, se fossi rimasto in Olanda, avrei comunque affrontato la squadra in cui sognavo di giocare. Ora che sono qui sarà bellissimo tornare a Rotterdam, sono molto legato al Feyenoord e potrò dire addio alla squadra con cui ho vissuto momenti bellissimi. Sarà una notte speciale". 

Sul soprannome "Bebote": "Di quel bambino è rimasta la passione e la gioia con cui entro in campo. Da piccoli si gioca senza pressione e con tanta passione, quando si arriva in prima squadra invece si inizia a pensare cosa diranno i tifosi. E questo a volte ti impedisce di giocare liberamente. Io cerco di giocare come un bambino, senza pressione, con tanta passione, liberamente e divertendomi. Questa cosa non la perderò mai. Il soprannome? Viene dalla mia famiglia. I miei genitori, tutta la mia famiglia mi chiamava 'Bebote' da piccolo perchè ero grande per la mia età. Ero più grande dei miei compagni, per questo mi chiamavano 'Bebote'. Alla fine un amico di mio padre, che lavorava in tv, Tito Villa, sapeva che mi chiamavano così e una volta mentre commentava una partita al mio gol ha detto che aveva segnato il Bebote. E da quel momento mi chiamano tutti così". 

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