Intervista all'ex tecnico rossonero: "La mia squadra aveva stile e identità: se in Europa vince sempre chi ha un gioco un motivo ci sarà..."
"Buon anniversario, mister!". "Anniversario? E di cosa?". E chi ci pensa più in effetti... Sono passati 30 anni, che calcisticamente sono un secolo o giù di lì, eppure qualcosa è rimasto, "perché quella squadra aveva uno stile e lo stile dà senso di appartenenza". Quella squadra era il Milan, l'anniversario riguarda il 5-0 al Real nella semifinale di ritorno della Coppa dei Campioni poi vinta a Barcellona contro la Steaua Bucarest e chi ci parla è Arrigo Sacchi, l'uomo che rivoluzionò il modo di pensare il calcio in Italia. In giorni di vacche magre, di brexit all'italiana dalle coppe, questo tuffo nel passato è uno zuccherino in una tazza di veleno. Appena un po' di dolce dentro un retrogusto amarissimo. "Quella squadra - ricorda Sacchi - è stata considerata la più grande di tutti i tempi. Pensi: l'Equipe, in quei giorni, scrisse che dopo Milan-Real il calcio non avrebbe più potuto essere lo stesso. Capisce cosa c'è dietro una frase del genere?".
Il tutto inseguendo una filosofia precisa: i grandi giocatori al servizio della squadra. Juve-Ajax in questo senso ci ha riportato parecchio indietro...
"Certo, perché la Juve ha Ronaldo, che è il più grande di tutti, ma non è bastato. Il gioco è quello che nel cinema chiamano trama, nella prosa copione e nella musica spartito. Bertolt Brecht diceva che senza copione restano soltanto improvvisazione e pressapochismo. Il gioco continua a essere centrale. Io sono stato fortunato, perché ho avuto alle spalle un club che la pensava come me, che aveva una visione a lungo termine e un'ambizione sana. Per noi una vittoria senza merito non era una vittoria. Siamo stati una squadra coraggiosa in un ambiente pauroso. Un ambiente che aveva vinto anche prima di noi, ma non da protagonista...".
Però, mister, va detto che avevate anche grandi calciatori. Galliani, di recente, ha detto che con le attuali regole del FFP, quel Milan non sarebbe mai esistito...
"E io non sono d'accordo. Il Milan avrebbe vinto comunque in Europa e con i soldi delle Coppe dei Campioni avrebbe continuato a farlo. Ma lo sa che il Napoli costava, di ingaggi, più del Milan? Eppure..."
Torniamo alla Champions: in questi giorni criticano pure Guardiola. Qualcuno ha detto: "E' solo un buon allenatore". Cosa ne pensa?
"Penso che Pep sia uno di quegli allenatori in grado di elevare i campionati in cui allena. Uno che ha permesso e permette al calcio di evolvere".
E ten Hag le piace?
"Mi piacciono tutti quelli che vincono con merito e coraggio. Vede, l'altra sera ho sentito alcuni suoi colleghi ma anche alcuni tra i miei ex giocatori parlare dell'eliminazione della Juve: ci fosse uno che ha fatto notare con quanti uomini l'Ajax partecipa al gioco. Mi spiego: la Juve ha tenuto sempre Bonucci e Rugani su Tadic. Sempre, anche quando il pallone lo aveva lei. Nell'Ajax Blind si staccava e avanzava davanti alla difesa per partecipare all'azione. Più uomini farai partecipare allo sviluppo del gioco e più possibilità avrai di tenere il pallone. Purtroppo il nostro è un calcio pessimista e questo ci limita. I valori ti identificano...".
Facciamo un gioco. Guardiola, Sarri, Conte e Allegri: chi preferisce?
"Su, dai, questo lo sa da solo. Preferisco tutti quelli che danno un gioco. Tutti quelli che puntano sulla qualità. Lo stratega, se incontra un tattico, vince quasi sempre... Sarri negli ultimi anni è stato l'unico a dare fastidio alla Juve, ma noi ce lo siamo fatti scappare. Una volta il direttore del Pais mi disse: siete un Paese antico che ama l'antichità. Ma come ha fatto a vincere in quel modo? La stessa cosa, in un'altra occasione, me la disse Mark Hughes. Mi trovai con lui a parlare del mio Milan a una platea di allenatori. Feci vedere Bayern Monaco-Milan. All'andata avevamo vinto 1-0, quindi il pareggio ci bastava tanto più che eravamo senza Ancelotti, Donadoni e Gullit. Invece alla fine del primo tempo, le statistiche dicevano che loro avevano fatto un tiro in porta, noi 11. Eppure secondo Hughes l'Italia era quel posto dove se il campo fosse stato di 120 metri avremmo trovato undici dei nostri giocatori negli ultimi 20 davanti al portiere... La Uefa e France Football, recentemente, mi hanno inserito tra gli allenatori che hanno contribuito all'evoluzione del calcio. Per me è stato un onore che è tanto più grande se si pensa che è accaduto in un Paese calcisticamente conservatore come il nostro".
La Nazionale di Mancini sembra aver preso un'altra direzione, non le pare?
"La bellezza è nel suo Dna, ma va supportata. In Nazionale è tutto molto più complicato...".
Un'ultima cosa: quando rivedremo una squadra italiana dominare in Europa come quel Milan che umiliò il Real?
"Non lo abbiamo quasi mai fatto. L'Inter di Herrera, che io tifavo, vinceva sfruttando i singoli e difese eroiche. Vinceva all'italiana. La Juve, adesso, continua a puntare sulla qualità del giocatore più che su quella della squadra. Eppure negli ultimi 20 anni in Champions, 18 volte hanno vinto squadre che puntavano sul gioco. Un motivo, credo, ci sarà...".