Fino qui l'hanno piuttosto snobbato. La credibilità del resto si costruisce un passo alla volta
di Max Rigano© Getty Images
Malgrado le difficoltà della gestione Stroppa che hanno offuscato un salto (in serie A) lungo oltre un secolo, la squadra biancorossa sta progressivamente ottenendo le attenzioni che merita. Del resto non è solo un fenomeno calcistico. Monza e la sua squadra stanno vivendo e declinando una trasformazione. Sociale, politica, economica, sportiva e culturale. Il lavoro profuso infatti da Galliani e Berlusconi è il paradigma di un marchio di fabbrica. È la cultura del lavoro, del successo raccolto con il gioco, ovvero con uno squadernamento delle consuetudini del calcio all'italiana. L'ennesima rivoluzione che passa attraverso la ricerca dell'occupazione degli spazi. L'idea della costruzione contro la decostruzione, la ragione creativa contro l'irrazionale e ulititaristica passività.
È l'espressione dell'imporre anziché del farsi imporre; il rovesciamento del difensivismo della pelota nazionale; la rottura della media inglese, come puntello di una sana gestione; è il tentativo di esacerbare l'animus pugnandi per tracciare nuove rotte verso l'ignoto, capaci di disarticolare le obsolete autostrade del calcio italiano, che da sempre badano a non prenderle.
È la seduzione della creatività nata da un'idea di 'giuoco', ovvero da un'impostazione di come coprire in modo scientifico gli spazi, accorciando e allungando la squadra come un elastico. È il passaggio da una visione orizzontale del campo a quella verticale. Protesa ad offendere ma con intelligenza. Il 4 - 2 - 3 -1, il modulo su cui struttura e costruisce il gioco Raffaele Palladino, ha una sua geometria: verticale e tesa a edificare una testuggine in grado di svellere palloni dal terreno di gioco e farli approdare in area di rigore. Con l'inusitata audacia di voler sorprendere gli avversari, l'occupazione dello spazio non deve offrire pertugi e garantire una declinazione geometrica, una ballata matematica in punta di tacchetto dentro lo spartito del campo in cui le note in calzoncini, trovino sempre un loro rigore, una propedeutica posizione d'attacco in grado di offendere gli avversari con una musicalità marziale e allo stesso tempo ribelle.
E allora Carlos Augusto sulla sinistra Ciurria sulla destra; Pessina, Sensi e Rovella in mezzo al campo; Dany Mota e Caprari davanti; Izzo, Santos, Caldirola in retroguardia costituiscono quell'ossatura audace su cui sistematicamente costruire qualcosa al di fuori dagli schemi tradizionali. Contro l'inedia di un nazionale calcio sparagnino, il modulo di gioco di Palladino e del suo Monza sono testimonianza di una vocazione dello spirito. Logos ed eros che si coniugano, l'Io e l'es del football che si fondono in un super Io brianzolo, in cui non è ammessa la sconfitta, salvo che apparati figli della Tecne, avrebbe detto il Prof. Emanuele Severino, non costruiscano ostativamente e predittivamente quell'esercizio di ubris, atti ad impedire che Davide sconfigga Golia.
Monza è, e resta, l'esercizio di un'utopia che si affaccia di nuovo provando a spiccare il volo. Il sole è ancora lontano, il volo radente l'acqua. Ma lo sguardo volge verso l'alto. Presto arriveranno Juventus e Inter. È in alto che osano le aquile. Lì prova a volare chi osa cambiare. Ed il primo esame è vicino. A Lione. Poi il Toro prima dell'avvio del campionato. Singolare la scelta simbolica, per le iconografie degli avversari. Leoni e Tori. Avanti senza paura.