Gli azzurri non hanno fatto la partita che ci si aspettava, i nerazzurri hanno dominato nonostante qualche decisione di Inzaghi e i bianconeri...
di Bruno Longhi
Fidarsi è bene, ma non fidarsi (del passato) è molto meglio: se ne sono resi conto in maniera inequivocabile Spalletti, Pioli e Sarri, tutti sconfitti dalle loro squadre di ieri. Può essere questa la morale, un po’ superficiale, di un week-end favorevole all’Inter, avvicinatasi alle due capoliste in virtù del suo successo sul Napoli (il primo, ed era ora, contro una grande) e della sconfitta del Milan a Firenze. Favorevole pure alla Juventus che sta cercando di rosicchiare punticini a quelle che la precedono. E all’Atalanta che ha trovato in Zappacosta il miglior rimedio ai guai di stagione. E favorevole anche alla Roma che vincendo a Marassi contro il Genoa del debuttante Shevchenko, ha scavalcato in classifica la Lazio ed è ora la prima alle spalle del quartetto della zona Champions.
Decisivi i primi splendidi gol di in Serie A del diciottenne Felix Afana, ma anche l’inedito 3-5-2 di Mourinho che consente a Mkhitaryan di esprimere il meglio delle sue enormi possibilità.
Il risultato pesante è ovviamente quello dell’Inter sul Napoli, che tuttavia induce a una riflessione non propriamente ottimistica, in quanto i nerazzurri hanno rischiato di vanificare nel finale tutto quanto avevano fatto di buono per almeno tre quarti di gara. Inzaghi, per motivi iscrivibili probabilmente all’usura e all’imminenza della gara di Champions con lo Shakhtar, ha trasformato con cambi non del tutto condivisibili una grande squadra in una piccola squadra impaurita, che ha portato a casa il risultato solo per l’imprecisione di Mario Rui e Mertens e per un’incredibile parata di Handanovic. E se il Napoli avesse fatto gol oggi saremmo qui a puntargli il dito contro, a processarlo, come già avvenuto dopo le partite con la Juventus, con la Lazio, con il Real Madrid e con il Milan, quando la squadra era crollata nel finale e sempre in coincidenza dell’uscita dell’insostituibile Barella... Ma l’Inter è forte. Mentre il Napoli lo è stato solo all’inizio e nel finale. Principalmente per la scarsa penetratività degli esterni, per lo scarso supporto dato all’attacco dai centrocampisti. E per l’atteggiamento non da prima della classe.
Il primo stop della squadra di Spalletti, al quale si aggiunge quello pesante dello sfortunato Osimhen, può comunque servire da salutare lezione. A far capire a chi non l’avesse capito -vero Insigne?- che la leadership la si deve dimostrare sul campo. Non solo specchiandosi nella classifica. Il Napoli non ha fatto ciò che il primo posto richiedeva.
Lo ha fatto invece il Milan a Firenze dove ha messo in campo la sua incontestabile forza, ma è stato condannato alla sconfitta dai tanti errori suoi, dalla serena organizzazione della viola, e dall’ira travolgente di Vlahovic. Il gioiello viola è stato straripante, così come dalla parte rossonera lo è stato Leao. Non Ibrahimovic, alla faccia dei giudizi benevoli che si è guadagnato. Lo svedese -se riavvolgiamo il nastro- ha effettivamente riacceso la speranza, ma dopo che aveva mancato la facile occasione dell’1-1 e quella che sullo 0-2 avrebbe riaperto la partita.
Lo so, vado controcorrente. E lo faccio anche nei confronti di chi ha esaltato la Juventus per il rigoroso successo ottenuto a Roma contro la Lazio. In una partita, incanalata dal rigorino su Morata, e che mi ha ricordato Italia-Svizzera, con la squadra di Sarri a fare il verso a quella di Mancini. Tanta circolazione di palla, e tanta inconcludenza contro il pragmatico 4-5-1 di Allegri, l’ideale per capitalizzare al meglio la trasferta. Identica situazione che la Juventus potrebbe ritrovare a Stanford Bridge, dove giocherà per blindare il primo posto nel girone di Champions, e dove il Chelsea cercherà di riabilitare la sconfitta di Torino.
Ma i riflettori saranno puntati su Inter e Atalanta, prossime a centrare la qualificazione. E soprattutto sul Milan le cui residue speranze non possono prescindere da un successo a Madrid contro l’Atletico di Simeone.