Dopo la presunzione di Garcia e la nebbia dell'era Mazzarri, De Laurentiis ha trovato l'uomo giusto per raddrizzare la stagione con serietà e senza manie di protagonismo
di Enzo PalladiniIl Napoli non perde più. Sarebbe già una bella notizia, ma non è l'unica. Il Napoli è tornato miracolosamente a giocare bene dopo una mezza stagione (più di mezza) di sconfitte e tormenti. Attacca con varietà di soluzioni, difende con ordine (sembrava che senza Kim fosse tutto finito), sta in campo con autorevolezza e non teme le squadre più forti. Al terzo tentativo, De Laurentiis ha trovato la soluzione giusta.
Ci voleva un normal one. Certo, se tutto fosse così facile, nessun presidente sbaglierebbe allenatore. Però è meglio tardi che mai: oggi il Napoli è tornato a essere una signora squadra, in qualche momento ha le fattezze del Napoli spallettiano e scudettato, ha ritrovato in contributo di alcuni giocatori che sembravano spariti dai radar. E' il Napoli di Francesco "Ciccio" Calzona, una persona seria prima di tutto, un allenatore che si è sottoposto a una lunghissima gavetta, che ha collaborato con colleghi prestigiosi assorbendo da ognuno tutti gli insegnamenti possibili. Se si parla con i giocatori della Nazionale slovacca, si scopre che Calzona ha dato al gruppo, oltre che la sicurezza nei propri mezzi, anche una serie di nozioni tattiche che prima del suo avvento, da quelle parti ignoravano. A Napoli non c'era bisogno di questa didattica radicale. Bastava un'opera di normalizzazione, che è stata portata avanti presto e bene.
Ma allora, se tutto era così semplice, cosa è stato sbagliato a monte? De Laurentiis dice di aver sbagliato a lasciar partire Luciano Spalletti, ma questo lo si dava per scontato. Se il problema erano i rapporti tra di loro, soltanto i diretti interessati potevano risolverlo. E non è stato fatto. La scelta di Rudi Garcia è stata fatta pensando alle sue esperienze passate. Il ragionamento è stato: meglio qualcuno che abbia già affrontato la Champions League piuttosto che un giovane emergente. Piccolo particolare: il signor Garcia non aveva mai visto giocare il Napoli (lo ha rivelato lo stesso ADL quando l'ha cacciato), quindi non aveva alcuna base da cui partire per costruire il suo Napoli. Su questo buio tattico ha innestato le sue abitudini atletiche, che prevedono un lavoro leggero a inizio stagione per provare a partire bene come ai tempi della Roma. Risultato: il Napoli di inizio stagione era una copia sbiadita di quello scudettato.
Poi c'è stata l'era Mazzarri che è partita da un presupposto sbagliato. Ricordando le prime parole del secondo allenatore stagionale, viene in mente il discorso su Spalletti ("Ho studiato a fondo il suo gioco"), discorso che sembrava studiato apposta per ottenere quell'ingaggio. Ma in questo caso l'errore è stato doppio, da parte di Mazzarri che dopo una vita passata a lavorare sulle varianti del 3-4-2-1 ha provato a snaturarsi e da parte del club che sapendo di avere un gruppo costruito per il 4-3-3 o per il 4-2-3-1 ha puntato su un allenatore che quei moduli non li ha mai adottati. Mazzarri ha accettato per troppo amore, questo si è capito, ma forse andava lasciato in pace a casa sua per evitargli questo smacco.
Poi è arrivato in punta di piedi il signor Calzona. Ha resistito a un esordio-shock contro il Barcellona, ha messo in pratica la sua capacità di comunicare con i giocatori, proprio la qualità che ha conquistato i nazionali slovacchi qualificati per la prima volta per la fase finale degli Europei. Ha rimesso ognuno al proprio posto, più o meno come li metteva Spalletti, a eccezione di Zielinski che è stato messo ai margini per scelta societaria. Ha riavuto Osimhen e lo sta gestendo bene nonostante le fatiche della Coppa d'Africa, ha rimesso Kvaratskhelia nelle condizioni di dare il meglio (due gol consecutivi), ha ridato centralità alla figura illuminante di Lobotka. Ha battuto la Juventus e adesso può pensare a un posto in Champions League, idea che sembrava malsana due settimane fa.