La squadra di Spalletti gioca, diverte e vince: e i tifosi sognano il terzo scudetto...
di Matteo Dotto© Getty Images
Difficile pensare come la Juventus vista venerdì sera al Maradona o il Milan incapace di vincere a Lecce (e spinto in teoria dalla doppia rabbia per i due punti persi con la Roma e per l’eliminazione in Coppa Italia) o l’Inter brutta ma vincente e con immane sofferenza finale contro il Verona possano contendere il titolo allo spumeggiante Napoli di Spalletti. Le tre inseguitrici (Milan adesso secondo da solo a -9, Inter e Juve terze a -10) faranno bene a metter la testa sugli impegni ravvicinati che li aspettano. Soprattutto le milanesi: mercoledì alle 20 supersfida di Supercoppa a Riyad (e su Canale 5) che assegnerà il primo titolo stagionale. Intanto la capolista di azzurro vestita non finisce di stupire: gioca, diverte e vince. E i tifosi del Napoli sognano a giusta ragione il terzo scudetto.
CONFRONTI – Era un altro calcio, erano campionati “diversi” ma non per questo possiamo sottrarci a confronti oggettivi. Il Napoli di Luciano Spalletti (campionato a 20 squadre con la vittoria che vale 3) dopo 18 giornate ha 47 punti. Il Napoli di Ottavio Bianchi (quello, per intenderci, del primo scudetto: campionato 1986-87 a 16 squadre e vittoria che valeva ancora 2 punti) dopo le prime 18 giornate di punti ne aveva 28 (con i 3 punti sarebbero stati 39). Il Napoli di Albertino Bigon (quello dello scudetto 1989-90, campionato a 18 squadre e sempre 2 punti a vittoria) alla 18esima era a quota 27 (tradotti all’oggi… 37). Numeri davvero straordinari per una squadra, quella guidata da Spalletti, che vince divertendosi e si diverte vincendo. Numeri che innescano altri confronti solo all’apparenza… irriverenti.
PARAGONI – Nella stagione 1986-87 gli stranieri erano al massimo due per squadra. Il Napoli faceva eccezione: sbolognato Daniel Bertoni all’Udinese e in attesa di ingaggiare la stagione successiva, di stranieri ne aveva solo uno (Diego Maradona) che però valeva… per tre. Non c’è ovviamente un giocatore che in qualche modo gli assomigli e sia degno di allacciargli metaforicamente gli scarpini: Insigne era vagamente il più simile per qualità tecniche e conformazione fisica. Le fiammate di Kvara, i suoi dribbling spettacolari e la sua facilità nel vedere la porta hanno regalato al talentuoso asso georgiano il soprannome di Kvaradona. Il Napoli di Ottavio Bianchi aveva un tridente offensivo ribattezzato Ma-Gi-Ca dalle iniziali di Maradona, Giordano e Carnevale. Detto di Kvara l’alter Diego (il 10 argentino con 10 gol fu il capocannoniere di quella squadra), il Carnevale odierno (con 8 centri finali il secondo miglior bomber di squadra) per stazza e strapotere fisico è senz’altro Osimhen. Per Giordano (attaccante dai numeri straordinari e dai piedi fatati) l’accostamento sta a metà tra il più tecnico Raspadori e il più strutturato Simeone. A centrocampo ci sovvengono due similitudini: il regista pescato in B a ottobre dalla Triestina da quel genio del mercato che era ed è Pierpaolo Marino si chiamava Ciccio Romano, un metronomo alla… Lobotka. Per corsa e capacità di inserimento l’Anguissa di oggi può paragonarsi in qualche modo al Bagni di ieri. Così come tra i pali non incanta oggi Meret (che però il suo lo fa, eccome) così come non rubava l’occhio ieri Garella, con quel suo stile un po’ così ma tremendamente efficace. E’ solo un gioco, d’accordo. Ma chi magari ha superato la soglia dei Cinquanta potrà fare le sue valutazioni ed essere più o meno d’accordo.