Dipende dal vescovo di Pozzuoli che nel 1983 negò l'autorizzazione a titolarlo ad Attila Sallustro
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Quanto sarà bello giocare nello stadio Diego Armando Maradona. Sì, perché se tutto seguirà l’iter giusto come la gente spera, è altamente improbabile che qualcuno continui a chiamarlo San Paolo. D’accordo la fede, ma anche Diego è una fede. Non siamo a Milano, dove quasi nessuno parla di Stadio Giuseppe Meazza anziché San Siro. Entrare in campo al Maradona per ogni giocatore di qualunque nazionalità sarà uno stimolo in più, sarà motivo d’orgoglio, soprattutto se si potrà lottare per i traguardi che Dieguito rendeva accessibili con la sua immensa classe.
Ma attenzione. Nonostante la mobilitazione generale della città e delle autorità per portare avanti questa pratica, non sarà così semplice aggiungere il nome di Diego Armando Maradona alla denominazione attuale. C’è un precedente che rende tutto complicato. Negli anni ’80 lo stadio doveva essere intitolato ad Attila Sallustro, attaccante nato in Paraguay e trasferitosi a Napoli con la famiglia quando aveva appena 3 anni, morto il 28 maggio 1983. Sallustro non è stato Maradona, ovviamente, ma nella storia del Napoli ha lasciato un segno importante. Eppure non è stato possibile intitolargli lo stadio, perché c’è particolare che non tutti conoscono.
La zona di Fuorigrotta, dove sorge lo stadio, non appartiene alla Diocesi di Napoli ma a quella di Pozzuoli. E nei favolosi anni ’80, proprio quando Maradona entusiasmava una città e i suoi abitanti, fu proprio l’allora vescovo di Pozzuoli, Salvatore Sorrentino, a opporsi fermamente all’ipotesi di questa dedica laica. Il cardinale Sorrentino (questa fu un’ulteriore sfortuna per chi voleva lo stadio Sallustro) durante il suo mandato, conclusosi nel 1993 per raggiunti limiti di età, aggiunse San Paolo e Sant’Artema come patroni secondari ai patroni principali San Gennaro e San Procolo. Non è così semplice che il vescovo attuale, cardinale Gennaro Pascarella, possa passare sopra una decisione presa con tanta determinazione da un suo predecessore molto stimato, scomparso nel 2006 dopo essersi ritirato a vita privata.
Su questa storia si innesta anche quella che racconta di come lo stadio di Napoli abbia il suo nome attuale. Tutto nasce da una leggenda popolare secondo la quale Paolo di Tarso, poi diventato San Paolo, sarebbe sbarcato in Italia proprio nella zona di Fuorigrotta per iniziare la sua predicazione. Città profondamente religiosa e legata alla tradizione, Napoli ha accolto in maniera favorevole la decisione di dedicare il suo “tempio” calcistico a un santo così importante. Inaugurato il 6 dicembre del 1959 (Napoli-Juventus 2-1 davanti a 87.000 spettatori), si chiamava inizialmente “Stadio del Sole” a cui poi è stato imposto il nome di San Paolo.
Stadio Sallustro no e ormai il problema non si pone più, Se mai c’è da combattere per farlo diventare Diego Armando Maradona. La prima differenza evidente è che Sallustro non era Maradona. Era un grande attaccante, capace di segnare un centinaio di gol in maglia azzurra, di far innamorare decine di donne tra cui l’attrice Lucy D’Albert che poi sarebbe stata sua moglie fino alla morte. La toponomastica locale lo ricorda con un viale a Cercola, una via nel quartiere Ponticelli, un piazzale a Casavatore e uno stadio a Carbonara di Nola. Però lo stadio no. Veto totale. A Napoli oggi dicono che Maradona, oltre alla portata del suo operato calcistico, ha un altro vantaggio rispetto a Sallustro: un Papa argentino appassionato di calcio che lo ha spesso fatto oggetto delle sue preghiere e della sua considerazione. Può significare tutto o niente, ma qualcosa dovrà pur significare. E quanto potrebbe essere bello, per un capitano del Napoli presente o futuro, raccontare di avere alzato un trofeo al Maradona.