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SPAGNA 1982

Italia-Brasile '82, la madre di tutte le partite: quando Rossi entrò nel mito

L'incontro con il Brasile regalò alla nazionale di Bearzot l'accesso alle semifinali e al calcio italiano un'emozione che non potrà mai essere eguagliata

di Andrea Cocchi
11 Lug 2022 - 07:59
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Cinque luglio 1982. L'Italia sbeffeggiata, umiliata, massacrata dai giornali e dal Processo televisivo, batte il Brasile, dopo aver sconfitto l'Argentina campione del mondo in carica, e si guadagna la semifinale e l'autostrada che porta dritto alla coppa del mondo sollevata al cielo di Madrid sei giorni dopo. Ma se Italia-Germania è la consacrazione finale, Italia-Brasile è tutto. Solo chi l'ha vista e vissuta, perdendo qualche anno di vita, può davvero capirlo. 

Chiunque l'abbia vista, soprattutto nell'età in cui ancora si può credere nei sogni, ha avuto in dote una felicità immensa e una maledizione eterna. La felicità di vedere la propria nazionale battere una delle squadre più forti di tutti i tempi (Junior, Falcao, Cerezo, Socrates, Zico, Eder...), di pensare che tutto può essere possibile nella vita, che il riscatto e la rivincita non sono concetti astratti ma possono far parte della realtà quotidiana. La maledizione è quella, arrivata con il tempo, di capire che nessuna partita di calcio potrà mai più regalare un'emozione così forte, così completa. I caroselli visti dopo il Mondiale del 2006 e l'Europeo del 2021 sono stati guardati dalla nostra generazione con un misto di nostalgia, stupore e senso di estraneità. Oltre alla consapevolezza che la vita è lontana da Italia-Brasile, spesso molto lontana. Allora ce la teniamo lì, in un angolo dell'anima che qualche volta andiamo a solleticare e accarezzare per ricordarci che sì, in effetti può succedere. 

La storia la conoscono tutti. L’Italia parte per la Spagna, sede della coppa del mondo 1982, accompagnata dallo scetticismo generale che aumenta dopo una prima fase, onestamente, poco confortante, per usare un eufemismo. Nessuna partita vinta e tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun. Due gol fatti, due subiti e una pochezza di gioco che fa pensare a un massacro nel turno successivo che ci vede opposti ad Argentina e Brasile. Cioè i campioni del mondo di quattro anni prima più Maradona, e la squadra più forte del pianeta in quel momento. Nonostante le premesse, gli azzurri vincono entrambe le partite scatenando un entusiasmo incontenibile in un Paese che ha una voglia matta di festeggiare.

Paolo Rossi, reduce dalla squalifica di due anni per il calcioscommesse, sembra un fantasma e il commissario tecnico Bearzot, nonostante tutti continuino a dirgli di toglierlo dalla squadra titolare, non smette di puntare su di lui e proprio nella partita decisiva, quella di quel leggendario 5 luglio, Pablito mette a segno la tripletta che batte un Brasile capace di recuperare due volte, regalando all'Italia una favola nella favola. Rossi segnerà ancora nella semifinale con la Polonia (una doppietta) e in finale con la Germania Ovest, diventando l'eroe e il capocannoniere di quel Mondiale.

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Lo stadio che ha visto compiere l'impresa, il piccolo Sarrià, stretto e incastonato tra le case di un quartiere residenziale di Barcellona, non esiste più. E' stato buttato giù nel 1997. Al suo posto c'è un parchetto dove vengono portati i cani a fare i loro bisogni, c'è qualche mamma con il passeggino e dei ragazzini che giocano a pallone. Nessuno si immagina che quei pochi metri quadrati siano stati il palcoscenico della leggenda. Una targa all'ingresso del parco, un bar che prende il nome di quello stadio e di quell'anno e un cerchio di sabbia che, i negozianti delle zone vicine, raccontano essere esattamente il cerchio di centrocampo del vecchio impianto. Un giorno di fine giugno del 2012 (nel trentennale dell'impresa azzurra), un signore che leggeva il giornale su una panchina ha visto tre personaggi che, partendo dal punto centrale di quello spiazzo di sabbia, facevano passi lunghi e ben distesi per capire il punto esatto dove Rossi avesse segnato il gol decisivo, Zoff parato sulla linea il colpo di testa di Oscar ed Eder battuto l'ultimo calcio d'angolo prima del fischio finale. Si è alzato dalla panchina e rivolto ai tre ha detto solo: "Italianos ?". Aveva capito tutto. 

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