Il 9 dicembre del 2020 ci lasciava il simbolo dell'Italia mondiale del 1982 e di un periodo straordinario del nostro calcio
di Andrea Cocchi
E' già passato un anno. Paolo Rossi se n'è andato in una sera di dicembre di un anno da dimenticare dopo una malattia veloce e inesorabile. Lasciandoci orfani di un sorriso così vero da metterti quasi in imbarazzo. Il racconto di sua moglie, Federica Cappelletti, dei messaggi e delle lettere ricevute da sconosciuti che volevano soltanto condividere il ricordo e l'affetto per un loro mito, ha fatto capire, una volta di più, che cosa Pablito abbia rappresentato per un intero Paese.
Basterebbe la favola di Spagna '82, quel Mondiale vinto contro tutto e tutti, per portarlo nell'Empireo del calcio nazionale e renderlo immortale. Tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vivere quei giorni conservano, nel proprio scrigno dei momenti più belli, un piccolo pezzo di quell'impresa. Basta un'immagine, una canzone, un ricordo, per riaprilo e ritrovare la voglia di accarezzare quel pezzo di felicità. Basta e avanza per trasformare il protagonista più rappresentativo di quel successo in una leggenda da ricordare per sempre. Eppure non è sufficiente per cogliere il senso vero di quelle lettere così piene di affetto recapitate alla moglie.
In certi casi la gente capisce. Capisce con una sorta di sesto senso che ti fa, per una volta, pensare che possa davvero esistere un sentimento condiviso. Tutti parlano di quell'impresa, tutti hanno un aneddoto legato a quei momenti ma tutti, nessuno escluso, riescono a cogliere l'aspetto più bello di Paolo, quello che si percepisce quando si spoglia il mito e lo si valuta soltanto per quello che realmente è. A Paolorossi (scritto tutto attaccato come lo chiamavamo noi da bambini) il ruolo di leggenda è sempre interessato poco. Rispondeva gentilmente a tutti, ripeteva per la milionesima volta la storia che ognuno voleva sentire, perché le favole riescono a rasserenarti anche quando l'infanzia è passata da un pezzo, ma non c'era mai il compiacimento che accompagna i racconti di personaggi molto meno importanti di lui.
Il suo essere sempre sorridente e disponibile non era una posa, era l'atteggiamento più logico di chi ama davvero la vita, in ogni sua forma, anche quella degli altri. Di chi non ha mai saputo prendersi troppo sul serio, di chi apprezza la leggerezza senza essere superficiale. Anche nei confronti del calcio non ha mai dato l'impressione di vivere per il pallone e trattava l'argomento con la giusta distanza, dandogli l'importanza relativa che deve avere.
Per tanti Spagna '82 ha dato inizio agli anni '80, con la voglia di festeggiare dopo gli anni di piombo. Forse è vero, o forse ci aveva già pensato John Travolta cinque anni prima, con il boom delle discoteche. Quel Mondiale, in realtà, ha dimostrato come le imprese impossibili possano diventare realtà regalando a un Paese un sentimento tanto raro quanto prezioso: la speranza. Questo è stato Paolo, un dispensatore di sogni. Per quello è così difficile dirgli addio. Anzi, un anno dopo possiamo avere la certezza che è l'unica parola che non dobbiamo usare. Perché ce n'è un'altra che non ci stancheremo mai di ripetergli: grazie.