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LO SCANDALO

Quando il pallone si sgonfiò: 40 anni fa lo scandalo-Totonero che travolse la Serie A

Il 23 marzo 1980 la Guardia di Finanza irruppe negli stadi italiani, arrestando calciatori e presidenti: scoppiò definitivamente la bomba del calcioscommesse

23 Mar 2020 - 08:29

Da un lato il prato verde, simbolo di libertà e spensieratezza. Dall'altro, a pochi metri di distanza, una “Alfetta” della Polizia. La forza della contrapposizione unita alla potenza delle immagini: il prato era dello stadio “Olimpico” di Roma, le telecamere quelle di “90° minuto”. Il pomeriggio del 23 marzo 1980 la Guardia di Finanza irruppe negli stadi e arrestò “in diretta” 11 calciatori e un presidente: scoppiò la bomba del calcioscommesse. Qui le tappe del primo grave scandalo del calcio italiano.

GLI ANTEFATTI
Benché avesse solo 31 anni, Massimo Cruciani era un uomo sconfitto e arreso, ma non aveva nessuna intenzione di finire nel baratro senza compagnia. Era un commerciante di ortofrutta e riforniva il ristorante di Alvaro Trinca, “La Lampara”, vicino piazza del Popolo a Roma. Era un locale frequentato da molti calciatori di Roma e Lazio, normale che il proprietario avesse fatto conoscenza con alcuni di loro. “Er Barbetta”, questo il soprannome di Cruciani, era romanista e seguiva con interesse il calcio, dunque Trinca poteva presentargli diversi giocatori. Cruciani sapeva che fosse possibile scommettere clandestinamente e che il cosiddetto “Totonero” (in antitesi al Totocalcio) nascondesse un giro di soldi elevato: decine di miliardi di lire. Se n'era accorto, e per primo nel mondo dell'informazione, anche un cronista di “Paese Sera”, Giuliano Prasca, che già nel gennaio 1980 aveva denunciato l'esistenza di un giro di giocate clandestine dal fatturato esorbitante. Unendo questi elementi, Cruciani e Trinca avrebbero presentato ad alcuni giocatori la possibilità di truccare le partite in modo che ne guadagnassero tutti. 

LA DENUNCIA 
La prima gara che i due avrebbero tentato di “aggiustare” fu l'amichevole Palermo-Lazio del primo novembre 1979. Pareggio avrebbe dovuto essere, pareggio fu, ma i biancocelesti si presentarono con 50' di ritardo, così il match si svolse senza l'arbitro, stufo di aspettare, e le vincite furono annullate per la mancanza di un direttore di gara federale. Con la consapevolezza che il gioco poteva funzionare, Trinca e Cruciani avrebbero truccato con successo un Milan-Lazio (2-1) del 6 gennaio 1980 grazie all'aiuto del presidente dei rossoneri Felice Colombo e dei giocatori Enrico Albertosi, Giorgio Morini (Milan), Bruno Giordano, Lionello Manfredonia, Massimo Cacciatori e “Pino” Wilson (Lazio). Colombo avrebbe sborsato 20 milioni di lire ai laziali, che persero sul campo. Tuttavia, non è semplice combinare un risultato, troppi gli elementi incontrollabili. Molte partite, come un Lazio-Avellino del 13 gennaio (1-1), non avrebbero seguito i piani e nel giro di due mesi Cruciani e Trinca persero centinaia di milioni: erano praticamente rovinati. Il primo marzo 1980 i due presentarono una denuncia alla Procura di Roma: fecero i nomi di 27 calciatori e 12 società di Serie A e B. Se la cantarono, come si dice in gergo, e la canzone era una dinamite che sarebbe esplosa di lì a poco. Intanto la miccia era accesa.

MANETTE NEGLI SPOGLIATOI
Nelle tre settimane successive le voci si rincorsero sui giornali, che uscirono con titoli a caratteri cubitali. Ad esempio, in un'intervista a “la Repubblica”, il calciatore della Lazio Maurizio Montesi ammise che un compagno gli aveva offerto sei milioni per partecipare alla combine di Milano. Non volendo grane, finse un infortunio per non disputare la gara e i soldi andarono a un altro giocatore. Voci, ma anche mezze confessioni: non si sapeva con certezza cosa, ma qualcosa era successo. Trinca venne arrestato il 9 marzo, Cruciani si costituì il 12. L'inchiesta, condotta dal procuratore Arnaldo Bracci e dai sostituti procuratori Vincenzo Roselli e Ciro Monsurrò, subì una svolta domenica 23 marzo: giorno di festa, giorno di partite, ma questa è anche una storia di contrasti visivi, e negli stadi italiani irruppe la Guardia di Finanza. Per “90° minuto” Giampiero Galeazzi raccontò in diretta gli eventi. Si era appena chiuso il 24esimo turno della Serie A e allo stadio “Olimpico” era terminata Roma-Perugia (4-0): Galeazzi chiese urgentemente la linea al conduttore Paolo Valenti perché una “Alfetta” della Polizia sostava sulla pista di atletica a ridosso del terreno di gioco. Il calcio italiano aveva appena perso la sua verginità agli occhi del pubblico, a prescindere da come sarebbe andata a finire la vicenda. Al termine delle rispettive partite furono arrestati i calciatori Giordano, Manfredonia, Wilson, Cacciatori (Lazio), Albertosi, Morini (Milan), Mauro Della Martira, Luciano Zecchini (Perugia), Stefano Pellegrini (Avellino), Sergio Girardi (Genoa) e Guido Magherini (Palermo), oltre al presidente del Milan Colombo. I calciatori Claudio Merlo (Lecce) e Gianfranco Casarsa (Perugia), anche loro raggiunti da ordini di cattura, si costituirono in brevissimo tempo. In totale, 14 tra giocatori e presidenti finirono nel carcere romano di Regina Coeli con l'accusa di concorso in truffa aggravata e continuata. Nei giorni seguenti ricevettero ordini di comparizione decine di altri calciatori: tra questi alcuni nomi noti come Beppe Dossena, Beppe Savoldi (Bologna) e Paolo Rossi (Perugia). E nel sottobosco delle giocate clandestine c'era anche chi puntava su ulteriori arresti per il calcioscommesse: un velo di ironia su una vicenda che avrà due processi, uno penale e l'altro sportivo.

IL PROCESSO PENALE
Concluse le indagini, il 24 aprile i procuratori formularono la richiesta di rinvio a giudizio per 38 imputati, totalmente accolta dal tribunale di Roma. Il processo penale iniziò il 13 giugno, a Euro 1980 (organizzato in Italia) in corso, e le immagini dei calciatori alla sbarra fecero il giro del mondo. Tuttavia, la sentenza portò a un nulla di fatto: nella notte del 22 dicembre i giudici della quinta sezione penale del tribunale di Roma assolsero con varie formule tutti gli imputati perché il fatto non sussisteva penalmente e l'illecito sportivo non configurava il reato di truffa.

IL PROCESSO SPORTIVO
La giustizia sportiva è molto più veloce rispetto a quella ordinaria, anche solo per l'esigenza di organizzare campionati ogni anno. Successe così anche nel 1980: le prime indagini, condotte da Corrado De Biase, partirono appena Cruciani e Trinca denunciarono i giocatori. Malgrado due gradi di giudizio si arrivò rapidamente a una sentenza definitiva. Già il 27 marzo, quattro giorni dopo le manette negli spogliatoi, la commissione disciplinare della Lega sospese i tesserati arrestati, mentre il processo sportivo partì il 14 maggio: sotto accusa partite della Serie A 1979-80 come Milan-Lazio, Lazio-Avellino, Bologna-Avellino, Avellino-Perugia, Bologna-Juventus e Milan-Napoli. Bastò la sentenza di primo grado, pubblicata a metà maggio, a provocare un ulteriore terremoto: il Milan fu retrocesso d'ufficio e il presidente Colombo radiato. Le prime condanne convinsero Artemio Franchi a lasciare la presidenza della Figc in estate. Il giudizio giunse fino all'inappellabile Caf (Corte d'Appello Federale), che a luglio decretò la retrocessione in B anche della Lazio. Il bilancio definitivo del processo sportivo fu il seguente: Milan e Lazio in B, cinque punti di penalizzazione (da scontare nella stagione 1980-81) ad Avellino, Perugia, Bologna (Serie A), Palermo e Taranto (Serie B), mentre Juventus, Napoli e Pescara furono assolte; tra i tesserati delle società, Colombo fu radiato, il presidente del Bologna Tommaso Fabbretti venne squalificato per un anno, assolti (tra gli altri) Giampiero Boniperti e Giovanni Trapattoni (presidente e allenatore della Juventus); tra i 21 calciatori squalificati, si andava dai sei anni per Stefano Pellegrini ai tre mesi per Franco Colomba (Bologna) e Oscar Damiani (Napoli). Varia sorte per i nomi più di grido: quattro anni per Albertosi (che di fatto chiuse la carriera ad alti livelli), tre e sei mesi per Giordano, Manfredonia e Savoldi, tre per Wilson (che si ritirò), due per Rossi. Pablito si è sempre proclamato innocente e nel 1981 si prese un mese in più di squalifica per queste frasi: “Se mai dovessi avere la malasorte di venir chiamato davanti a un qualsiasi tribunale sportivo non mi presenterei di certo al cospetto di quei signori. Il processo sportivo è stata un'autentica buffonata”. Rossi, che per la vicenda del Totonero perse Euro 1980 insieme a Giordano, tornò appena in tempo per il Mondiale del 1982. 

IL CONDONO
Già, quel Mundial. Il trionfo degli Azzurri in Spagna e il torneo straordinario di Rossi furono il pretesto per dare una passata di vernice sul calcio italiano, che dimenticò il suo primo grande scandalo non appena Dino Zoff alzò al cielo la Coppa del Mondo. Venti giorni dopo la vittoria del Mondiale, il 31 luglio 1982, la Procura Federale ridusse di due anni le sanzioni disciplinari a tutti i calciatori che non avevano interamente scontato la loro pena, con la conseguenza di liberare anzitempo Giordano, che con i suoi gol riportò la Lazio in A nel 1983. Colombo passò invece dalla radiazione a sei anni di squalifica. Aveva comunque già ceduto il pacchetto di maggioranza del Milan a “Giussy” Farina. Silvio Berlusconi sarebbe arrivato solo quattro anni dopo e a quel punto, sì, il Diavolo risalì dall'inferno.

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