La fondazione benefica del club giallorosso, dal 6 al 31 luglio, ospita 120 bambini bisognosi della capitale nell'impianto del Tre Fontane
Miriam, 10 anni, vuole essere Totti, non ha alcun dubbio; Giorgia, 8 anni, disegna un cuore per chiedere a Dzeko: “Come fai a segnare tutti quei gol?”. Matteo, occhi che sgomitano ben oltre la mascherina che lo protegge, vuole sapere da Messi se in fondo non gli piacerebbe provare un’altra squadra. Scrivono le loro domande elettrizzati, a tratti impetuosi, a volte cancellando e ricominciando da capo come per cogliere la giusta ispirazione. Per un’ora, vogliono essere giornalisti, come me: scoprire i segreti del bordocampo, conoscere le lingue dei loro eroi (“Ma tanto c’è Google Traduttore”, si rincuorano a vicenda); e al tempo stesso trovarsi dall’altro lato del microfono, essere cioè Cristiano o Messi, Alisson o Neymar, Dybala oppure Zaniolo. E quando il sole, sullo stadio Tre Fontane, sarà ancora caldo, insieme avremo intervistato tutti - ma davvero tutti - i campioni dei nostri sogni.
Sono bambini fra i 6 e i 10 anni, che provengono da situazioni di difficoltà: l’estate post Covid avrebbe ulteriormente compromesso - quando non negato - occasioni di svago e di condivisione. Così, la fondazione Roma Cares, già impegnata nel lockdown a favore delle categorie più deboli della città, a rotazione offre loro una settimana - totalmente gratuita - di campo estivo.
Vengono dalle periferie della capitale, da famiglie bisognose di aiuto o seguite dai servizi sociali; 40 dei 120 piccoli coinvolti, provengono poi da quattro diverse parrocchie della città, una per ogni quadrante di Roma, e ogni mattina raggiungono e tornano dal campo grazie ad una navetta messa a disposizione dalla fondazione.
Al Tre Fontane, l’impianto della Primavera e della squadra femminile giallorosse, si prende confidenza col pallone guidati dagli allenatori della AS Roma; si nutrono consapevolezze e curiosità imparando a rifiutare ogni forma di bullismo e giocando - anche con la nostra professione - in totale sicurezza.
Ti stupiscono per le loro conoscenze, per l’acume con cui si affacciano al mondo; e ancor di più per la luce che sprigionano - il tifo è eterogeneo, Juve e Lazio comprese - sotto cappellini spesso ancora troppo grandi.
Sono i percorsi della passione, ancora meglio se solidale. Un’emozione che ti avvolge quando, salutandosi - dovendo “trasformare” un piccolo, caldo abbraccio in un necessario dialogo a distanza - una vocina di bimba sussurra: “Sei molto simpatica, da grande voglio fare il tuo lavoro”.