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E’ decisamente dura giocare contro le squadre di Juric, quella attuale, il Torino. Quella di ieri, il Verona. Ma Napoli e Milan, le due prime della classe hanno saputo superare i rispettivi ostacoli andando al di là di ciò che il campo avrebbe potuto esprimere. Al Maradona ricordano molto bene il pari dell’ultima giornata del passato campionato, quando il Verona negò alla allora squadra di Gattuso l’accesso alla Champions. E ieri pareva esserci aria di replay. Per demeriti - il terzo rigore mancato da Insigne -. Per questione di centimetri sul gol annullato a Di Lorenzo. Per sfortuna - il palo di Lozano -, ma anche per i meriti della squadra granata decisamente superiore sul piano fisico. Ma il Napoli è rimasto lassù, in vetta alla classifica, lassù dove ha saputo andare Osimhen per rendere azzurra una serata grigiastra e per sancire con uno stacco imperioso la leadership della sua squadra.
MILAN, THINK POSITIVE
Vincere partite del genere, in sofferenza, significa edificare un castello di aspirazioni. Vale per il Napoli e vale per il Milan che, contro il Verona, ha dimostrato di avere dentro di sé le risorse necessarie per andare al di là delle assenze pesanti e del meritato passivo con cui aveva chiuso il primo tempo. Inoltre l’autogol decisivo di Gunter induce a pensare ottimisticamente, nel ricordo di un simile 3-2 in rimonta contro la Sampdoria nella stagione tricolore 1998/1999, quella con Zaccheroni in panchina.
ALLEGRIZZAZIONE E MOURINIZZAZIONE
Mentre azzurri e rossoneri si giocano il primato, lo scontro dello Stadium tra Juventus e Roma, è stata avvelenata dalle immancabili polemiche. Sul banco degli imputati l’arbitro Orsato per aver precipitosamente accordato un rigore alla Roma (poi fallito da Veretout) nell’azione che avrebbe poi mandato irregolarmente in gol Abraham. Sul piano squisitamente tecnico la gara ci ha detto che sta facendo progressi il secondo processo di “allegrizzazione” dei bianconeri. La squadra ha inanellato la quarta vittoria di fila, sempre con il minimo scarto, ma ora la difesa –grazie anche Szczesny in versione Dudek dagli 11 metri - è ritornata ad essere affidabile.
Avanza anche il processo di “mourinizzazione” dei giallorossi, temibilissimi finchè Zaniolo è rimasto in campo. L’aver conservato il quarto posto, nonostante la sconfitta, è un premio meritato per l’atteggiamento mostrato in campo. La Juventus non entusiasma, oggi è squadra operaia che si identifica in De Sciglio, e non nei suoi campioni più raffinati. Ma per il momento - nell’attesa dei ritorni di Dybala e di Morata (a tempo pieno) e del big match di domenica prossima contro l’Inter che potrebbe valere l’aggancio ai nerazzurri - va bene così.
INZAGHI, STAVOLTA I CAMBI...
L’Inter è scivolata all’Olimpico per la somma di diverse concause: in primis l’aver avuto i reduci dal Sudamerica solo poche ore prima del match, o non averli avuti affatto. E di fronte a ciò si può tirare in ballo la miopia della Fifa, ma anche della nostra stessa Lega Calcio. Ci aggiungerei lo scarso Fair Play di alcuni giocatori della Lazio, ma anche la superficialità di parecchi nerazzurri. Infine, ecco i cambi. Dei quali l’Inter spesso beneficia ma che a Roma si sono rivelati un boomerang. Che senso può avere, dopo un’ora di calcio giocato perfettamente, stravolgere la formazione per inserire Correa, Vecino e Martinez arrivati a Roma da poche ore e fusi dal fuso orario? Forse, per non sottovalutare lo Sheriff, Inzaghi ha involontariamente sottovalutato le risorse della Lazio.
CHAMPIONS DA SOGNO PER LA DEA
Ma è già tempo di guardare avanti, alla Champions che incombe. L’Inter contri i moldavi, il Milan a Oporto, la Juventus a San Pietroburgo, mentre l’Atalanta respirerà a Manchester l’atmosfera inebriante di un altro tempio del calcio: sarà ad Old Trafford, il teatro dei sogni, a sfidare lo United di CR7. Good luck.