Il nuovo stadio dovrebbe essere inaugurato entro il 2026 (se non prima) e potrebbe assurgere a simbolo non solo di una Regione, ma anche di un intero Paese che non si è voluto piegare al coronavirus
Si è entrati da pochissimo tempo nella Fase 2 del coronavirus. Il calcio è ancora giocoforza fermo (e chissà ancora per quanto tempo), ma neanche in questo periodo complicato si sono arrestate le trattative, per la realizzazione del nuovo stadio, tra i rappresentanti di Milan, Inter e Comune di Milano, che si rivedranno nei prossimi giorni. Il progetto dell’impianto sarà al centro del grande tema urbanistico della Città, nonché grande opportunità di rinascita per tutta l’Italia
Da poche ore è scattata ufficialmente in tutta Italia la Fase 2 dell’emergenza Coronavirus. Milano, sempre molto attiva e dinamica in tutti i giorni dell’anno, ha dovuto rallentare e in molti casi addirittura spegnere, per due mesi, il proprio motore economico; caratterizzato da chiusure prolungate di aziende, bar, ristoranti, negozi, centri commerciali, passando (ancora per diverse altre settimane) anche per musei, teatri, cinema, fiere, moda, discoteche e turismo. La Lombardia è stata la regione più colpita dal Covid-19 in termini di contagi e di vittime e, insieme agli altri settori, anche quello del calcio ha dovuto abdicare al proprio ruolo socioculturale e di svago. Un’industria importantissima quella di questo sport (tra le prime nel nostro Paese) che vede, a Milano, rappresentare plasticamente la propria momentanea interruzione in uno stadio che mai per così tanto tempo era rimasto mestamente vuoto e deserto.
L’ultima partita andata in scena a San Siro, infatti, è stata Milan-Genoa dello scorso 8 marzo, mentre l’ultimo match con gli spettatori presenti sugli spalti risale addirittura al 19 febbraio, in occasione della serata magica dell’Atalanta contro il Valencia. Sembra passata un’era geologica da quel poker bergamasco, bissato anche nella gara di ritorno in Spagna; ultimo grande respiro di normalità per tutti gli appassionati di calcio. Il giorno dopo quell’andata degli ottavi di finale, infatti, sarebbe uscita la notizia del “paziente 1” di Codogno: da quel momento in poi la vita non sarebbe stata inevitabilmente più come prima, soprattutto in Lombardia. La voglia immediata di ripartire è stata subito frenata della dura realtà che si è imposta in quei tragici giorni di marzo, quando il focolaio esploso in Val Seriana ha messo in ginocchio un’intera comunità, che è passata in poco tempo dalla gioia collettiva per l’impresa in Champions League a un assordante silenzio, rotto solamente dalle campane a lutto e dalle sirene delle ambulanze che rimbalzavano da un angolo all’altro delle città. Da allora tutto si è dovuto giustamente fermare. Anche il calcio: con tutte le sue emozioni, con tutte le sue polemiche e anche con tutti i suoi benefici economici. Il pallone non è più rotolato, nemmeno sui campi di allenamento. Almeno fino a poche ore fa.
Adesso, però, si vuole ripartire davvero. La Fase 2 è appena cominciata e ora più che mai Milano e tutta la Lombardia vogliono rialzarsi in piedi. Per quanto riguarda il calcio, si guarda naturalmente con ansia alla ripresa del campionato di Serie A entro il mese di giugno, per potere disputare regolarmente le ultime dodici giornate rimaste; anche se tutto verrà svolto nel silenzio delle tribune. Gli stadi, le arene, più in generale gli impianti sportivi ad alto afflusso di spettatori saranno gli ultimi ambienti della società a tornare gradualmente a pieno regime, dentro una normalità che tutti oggi attendiamo con preoccupazione, al riparo dal virus, all’interno della quale la cautela potrebbe comunque svuotare curve e tribune e riempire i salotti.
E allora, in uno scenario futuro che si preannuncia quasi surreale, dove rivalutare spazi degli edifici e ambienti urbanistici sarà operazione necessaria e probabilmente vitale, forse la revisione infrastrutturale su scala nazionale non sarà poi così campata per aria. Nello specifico, Milano ha la grande occasione di rinascere dal proprio stadio: il grande stadio, che Milan e Inter potrebbero “regalare” alla Città per la sua ripartenza. Una cittadella da vivere ogni giorno della settimana e naturalmente non solo per i cittadini milanesi, ma anche per tutti quei tifosi di calcio rossonerazzurri sparsi in tutta Italia. Obiettivo: terminarne la costruzione nel 2026 (se non addirittura prima), anno delle Olimpiadi invernali ospitate da Milano e Cortina, per un evento che unirà tutti gli appassionati sportivi del mondo. I presidenti Paolo Scaroni e Steven Zhang sono concordi nell’affermare che il nuovo impianto possa rappresentare la grande occasione di “rinascita” della Città. Tra l’altro, nei prossimi giorni, si terrà una nuova riunione in videoconferenza tra Inter, Milan e il Comune di Milano per fare il punto della situazione. Con Elliott che ha già iscritto il tema del nuovo San Siro in cima alle massime priorità, per dimostrare la volontà di dotare il club rossonero di un asset strategico.
Del resto, proviamo per un istante a immaginare come sarà Milano tra sei anni: mentre la normalità sarà finalmente tornata prepotentemente a riempire strade, bar, ristoranti e centri commerciali, assisteremo dopo vent’anni a un’edizione dei Giochi Olimpici sul nostro territorio nazionale, in attesa dell’inaugurazione imminente di un nuovo stadio all’avanguardia, simbolo del risveglio di Milano, della Lombardia, dell’Italia. Un nuovo progetto a vocazione sportiva, in grado di contribuire in maniera preziosa al risanamento economico. Per una spolverata di novità, di freschezza collettiva e di futuro della metropoli più produttiva e vissuta di tutto lo stivale, che potrebbe diventare esempio nella cura sociale che verrà. E che segnerà per sempre un cambio epocale nel nostro Paese, che questa volta desidera fortemente non fermarsi mai più.
Più di ottant’anni fa Giovanni D’Anzi cantava “Milan l’è on gran Milan”. Parafrasando il grande artista milanese ci sia concesso, con un pizzico di orgoglio patriottico, di aggiungere, seppur non in dialetto: lasciate pure che il mondo dica, ma l’Italia è (e rimarrà) un grande Italia. Andrà tutto bene.