Il 23 aprile 2019 se ne andava il guru del calcio giovanile: ha reso il vivaio dell'Atalanta uno dei più floridi del panorama europeo
Quando gli chiesero cosa fosse per lui il calcio, Mino Favini diede una risposta laconica: “È la vita”. Un'affermazione forte, da uomo di campo. Ma è una replica che racchiude anche la filosofia connaturata al suo lavoro, quello del talent-scout: veder nascere talenti, farli crescere e portarli alla maturità, come si fa con un figlio. La vita, appunto.
Favini morì a 83 anni, il 23 aprile 2019. Dopo essersi ritirato dal calcio giocato nel 1966, il “Mago di Meda” cominciò a lavorare per plasmare i campioni del futuro. Iniziò da Como e convinse il presidente dell'Atalanta Antonio Percassi a puntare su di lui, nel 1991, per rendere un gioiello un settore giovanile già ottimo. Il lavoro di Favini, che a Bergamo restò 24 anni, partiva sempre dai suoi occhi: doveva vedere come il ragazzo controllava la palla. Se quelli che chiamava “atteggiamenti” erano giusti, la stoffa c'era. Cinque, in particolare, di stoffa ne avevano da vendere. Non è una classifica, ma una selezione di giovani scoperti da Favini e che senza la sua sensibilità calcistica, magari, non sarebbero mai andati in Serie A.
GIANLUCA ZAMBROTTA
Alla fine della prima esperienza al Como, Favini scoprì il talento calcistico di un ragazzo nato a poca distanza dallo stadio Sinigaglia: Gianluca Zambrotta. Rapidità fuori scala sin dalle giovanili, brucerà le tappe in carriera: a 20 anni era in Serie A con la maglia del Bari, a 22 divenne titolare nella Juventus ed esordì in Nazionale, chiamato da Dino Zoff. Considerato uno dei terzini italiani più forti di sempre, in carriera Zambrotta ha collezionato oltre 477 presenze con i club, giocando anche con Barcellona e Milan, mentre con la maglia azzurra ha disputato 98 partite e, soprattutto, vinto un Mondiale da protagonista.
DOMENICO MORFEO
L'antitesi di Zambrotta. Se il terzino è stato il prototipo del calciatore che ha dovuto lavorare sodo per arrivare ai massimi livelli, Domenico Morfeo è il simbolo del talento inespresso. O, quantomeno, non sbocciato del tutto. Favini lo andò a prendere da Bergamo fino a San Benedetto dei Marsi, comune in provincia dell'Aquila. Fu amore a prima vista: “A livello tecnico, il più forte talento che ho mai visto è lui, aveva una visione di gioco istantanea e sapeva subito dove mettere la palla”, avrebbe confessato Favini in un'intervista. A 17 anni il trequartista esordì in Serie A e nella sua prima stagione tra i grandi segnò tre gol in nove presenze. Ma le aspettative non vennero mantenute e “Mimmo” volò molto meno alto di quanto potesse. Favini ha sempre ripetuto che la testa - e non i piedi - decide la categoria: ecco, uno dei più grandi rimpianti del calcio italiano è non aver avuto un Morfeo (233 presenze e 50 gol tra i professionisti) totalmente determinato a emergere.
PIETRO VIERCHOWOD
Lo “Zar” si formò calcisticamente nel Como, dove esordì nel 1977. In tre anni risalì dalla C1 alla Serie A: un'ascesa rapida come lui, che - avendo un passato nell'atletica leggera - correva i 100 metri in 11 secondi. Enzo Bearzot restò folgorato dalle qualità del giovane Vierchowod, al punto da convocarlo per i Mondiali di Spagna '82. Non giocò nessun minuto e anche successivamente, in Nazionale, non si sarebbe tolto le soddisfazioni che forse avrebbe meritato: fu chiuso da Franco Baresi e Riccardo Ferri. Andò diversamente con i club: vinse infatti due scudetti in realtà che non ne hanno visti molti (Roma e Sampdoria) e conquistò da protagonista anche la Champions League con la Juventus, giocando la finale di Roma contro l'Ajax (1996). Oltre il palmares c'è poi il rispetto guadagnato dagli avversari: Maradona lo chiamava “Hulk” per la sua forza fisica, van Basten segnava con il contagocce se marcato dallo Zar, che a fine carriera - con la maglia del Piacenza - se la sarebbe vista anche contro Ronaldo. Non sfigurando.
STEFANO BORGONOVO
Tra i giovani scoperti da Favini c'è anche il compianto Stefano Borgonovo, che esordì in Serie A nel 1982 con la maglia del Como. Dopo qualche anno nelle categorie inferiori tornò nella massima categoria realizzando per i lariani 13 reti in tre anni e guadagnandosi la chiamata del Milan, che nel 1988 lo girò in prestito alla Fiorentina. In viola formò una coppia d'oro con Roberto Baggio (40 reti in due tra campionato e Coppa Italia), poi il ritorno alla casa-madre. Giocò in rossonero una stagione (1989-90) pregiudicata da un serio infortunio al ginocchio, ma i tifosi milanisti ricorderanno quel pallonetto all'Olympiastadion di Monaco di Baviera, nella semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni contro il Bayern: grazie a quella rete Sacchi staccò il biglietto per la finale di Vienna, poi vinta contro il Benfica. Nell'anno in rossonero Borgonovo realizzò due reti in 13 gare, poi fortune alterne a Firenze, Udine, Pescara e Brescia.
GIAMPAOLO PAZZINI
Cresciuto nel Margine Coperta, squadra di Pistoia legata all'Atalanta, Giampaolo Pazzini entrò nel settore giovanile nerazzurro a fine anni '90. A Bergamo conobbe Riccardo Montolivo, compagno di esordi all'Atalanta, che avrebbe ritrovato anche a Firenze e Milano, sponda rossonera. I due furono protagonisti del ritorno della Dea in A nel 2004: Pazzini, addirittura, segnò al debutto in massima serie (Atalanta-Lecce 2-2). Destinato a squadre di categoria superiore, il “Pazzo” si è ritagliato un'ottima carriera giocando per Fiorentina, Sampdoria, Inter, Milan e Verona: in Serie A ha totalizato 378 presenze e 115 reti, mentre all'esordio della sua breve esperienza al Levante (2018) si è tolto anche lo sfizio di imporre un 2-2 al Real Madrid. In Nazionale maggiore il bilancio è di quattro reti in 25 gare. Il ricordo migliore in azzurro è legato all'Under 21: nel 2007, infatti, inaugurò con una tripletta all'Inghilterra il nuovo Wembley. Non è da tutti.
MENZIONI SPECIALI
Ogni rassegna presuppone dei limiti: ci vorrebbe forse un libro per elencare tutti i giovani scoperti da Mino Favini. Alcuni, tuttavia, meritano almeno una menzione, come il già citato Riccardo Montolivo, oppure Giacomo Bonaventura e Alessio Tacchinardi, tutti centrocampisti partiti da Bergamo e arrivati in grandi piazze. A proposito di centrocampisti, come non ricordare Gianfranco Matteoli, che raggiunse Como dopo una notte di nave in Sardegna e vinse una selezione in cui c'era anche il figlio di un noto giornalista. Sul Lario, Favini lanciò anche Marco Simone, che sarebbe stato un preziosissimo elemento nel Milan stellare di Arrigo Sacchi e Fabio Capello. Poi Simone Padoin, Gianpaolo Bellini, Andrea Consigli e l'ultima generazione composta da Mattia Caldara, Andrea Conti, Franck Kessié, Daniele Baselli, giovani calciatori di cui si tireranno le somme a fine carriera e che Favini, sicuramente, avrebbe voluto vedere fino alla fine per ammirare una volta in più il suo operato.